«Non c’è nulla che Cristo non sia capace di illuminare. E nulla che non c’entri con Cristo. E dedicando la mia vita a Cristo ho la percezione concreta non solo di non perdere nulla, ma di poter vivere tutto in modo più profondo e vero».
Francesco Andrighetti articola con chiarezza le ragioni della sua vocazione al sacerdozio. Un percorso, questo, che giovedì 7 dicembre vivrà una tappa importante: alle ore 16, in San Marco, nei primi vespri della solennità dell’Immacolata Concezione, Francesco e un altro seminarista – Steven Ruzza – saranno ordinati diaconi.
La vocazione? Nasce in parrocchia, ma prima in famiglia. Per Francesco si tratta di un cammino le cui origini sono da trovare nell’infanzia e nelle figure attraenti di alcuni sacerdoti. 26 anni da pochi giorni, Francesco è nato in Romania: a tre anni è stato adottato ed è giunto a Mestre. Qui, in parrocchia di San Lorenzo, alcuni incontri che l’hanno segnato: quello con don Franco De Pieri, che l’ha battezzato e che gli è rimasto impresso, come figura presbiterale, fin da bambino.
Poi quello con don Raffaele Muresu, in quegli anni cappellano in centro a Mestre. E quello con mons. Angelo Centenaro, parroco a San Lorenzo fino al 2002 «e mio confessore fino all’ingresso in Seminario».
Volti e opere di sacerdoti che hanno acceso il desiderio di ripercorrere quella strada: «Ma nella sua origine più profonda, la vocazione è nata in famiglia. Il primo gesto d’amore che mi ha colpito è stato quello dell’adozione da parte dei miei genitori. È stato il primo segno che mi ha detto che Qualcuno mi voleva bene. I miei me l’hanno sempre detto: se tu sei qua con noi è perché Dio l’ha voluto. Perciò, da un lato, sento gratitudine; dall’altro il bisogno di comprendere chi è questo Dio che mi ama così tanto, da darmi una seconda “vita”, una seconda possibilità».
Una gioventù da mestrino doc. Il cammino di Francesco è lineare: scuola materna ed elementare alla San Gioacchino, medie alla Giulio Cesare, superiori al liceo Morin. Un percorso da ragazzo mestrino doc. E la vita di un qualsiasi ragazzo mestrino. Poi l’ingresso in Seminario, per il baluginare più nitido di quell’intuizione infantile. E, insieme, l’attenzione per la filosofia, che lo porta a frequentare contemporaneamente anche l’università: a Ca’ Foscari, tra non molto, conseguirà anche la laurea magistrale.
«Io sento – aggiunge subito Andrighetti – di dover ringraziare molto don Lucio Cilia, mio primo rettore, che mi ha accolto in Seminario insieme al Patriarca Angelo: sono loro che mi hanno dato la possibilità di studiare in Seminario e all’università; non sarei come sono ora, se non fosse per loro. E poi un grazie al Patriarca Francesco, a don Fabrizio Favaro e a don Mauro Deppieri, e in particolare a don Giacinto Danieli, che mi ha accompagnato per tutti questi anni. Senza la comunità del Seminario non diventerei diacono ora: lì sono cresciuto e ho creato alcune delle più belle amicizie».
Anni di formazione, questi, ma anche di esperienza pastorale nel territorio: Francesco è stato per due anni, d’estate, a Caorle, per tre a San Lorenzo Giustiniani, un anno a Jesolo Paese, e adesso è a Santa Maria Elisabetta del Lido di Venezia.
Elogio dello scautismo. Anni di esperienze in più ambiti: nel catechismo, nella scuola, con gli universitari, con le famiglie, in Comunione e Liberazione e con l’Agesci: «Ecco, dello scautismo – sottolinea Francesco – mi piace molto il metodo educativo, che riguarda tutta la persona, dalla dimensione dello spirito all’attitudine al servizio; dalla scoperta di sé allo sviluppo di virtù come il coraggio, la solidarietà, la fedeltà e l’onestà».
«Dove ho visto l’Incarnazione». Ora, tra pochi giorni, l’ordinazione diaconale. E una consapevolezza maturata maggiormente in un recente viaggio in Romania, il primo nella sua terra d’origine: «Lì ho visto la bellezza della cattolicità. Ho cioè visto che cosa fa la Chiesa cattolica assistendo chi ha bisogno. E ci sono tante persone che hanno un bisogno estremo: come può cavarsela una nonna con cinque nipoti, tutti stivati in una stanzetta? Chi dà loro una mano mi ha mostrato la vicinanza della Chiesa cattolica all’uomo, il suo amore per l’uomo e per tutto l’uomo, per la sua anima e la sua dimensione materiale e sensibile. Così la Chiesa vive la logica dell’Incarnazione, perché ha una passione per tutto l’uomo, così come è stato in Cristo».
Giorgio Malavasi