Grazia di Dio, buonumore e un po’ di buona volontà. E per il resto c’è la Provvidenza. La sintesi, probabilmente, la fa Gus, che sta per Augusto.
È la sintesi di che cos’è l’essenziale per un cristiano. Ma soprattutto per un prete. L’invito, rivolto ad Augusto e ad altri nove seminaristi del Seminario patriarcale, è infatti di individuare, secondo la propria esperienza e sensibilità, che cos’è basilare e, appunto, essenziale. E perché l’essenziale sia contagioso. Cioè per quale ragione venga voglia di fare la stessa cosa, una volta che si vede una persona farlo in modo convincente e attraente.
In fin dei conti, è proprio quando si riconosce l’essenziale che si può vivere con intensità e pienezza la propria vocazione. Vale per tutti e vale certamente per questi giovani. Alla vigilia della Giornata del Seminario, che si celebra domenica 29 aprile, riflettere sull’ossatura e sull’attrattiva del ministero ordinato diventa importante.
Gus, quinto anno di Seminario, attualmente collaboratore a San Nicolò di Mira, ritiene che «quando uno appartiene al Signore lo si vede concretamente nel fatto che vuole bene davvero alla gente; e questo voler bene si vede, tanto da diventare contagioso», cioè diffusivo di sé.
Gianpiero, quinto anno, sottolinea che riconoscere l’essenziale è fondamentale per un giovane che si prepara al sacerdozio: «Perché quello del sacerdote non è un mestiere che imparo, non è una competenza o un’abilità, ma qualcosa che diventa parte del mio essere».
In questo senso – e se interpretata così – la figura del sacerdote è affascinante e contagiosa: «Io sono rimasto affascinato – prosegue Gianpiero, che presta servizio nella parrocchia di Carpenedo – dal rapporto particolarissimo che il sacerdote intrattiene con Nostro Signore. E anche dal fatto che questo rapporto ha una sua esplicitazione nella vita della Chiesa, a partire dall’amministrare i sacramenti e dal donare la propria vita nel celibato».
La questione dell’attrazione e del contagio è centrale anche per Matteo, terzo anno di Seminario, che ricorda un sacerdote per lui significativo: «Di lui mi ha affascinato il suo modo di celebrare la Messa e il sacramento della riconciliazione. E il contatto con le persone, l’amicizia che sapeva intrattenere con tutti. Questo è ancora adesso il modello per me».
Giovanni, sesto anno di studi alla Salute, servizio attualmente prestato in carcere e nella pastorale giovanile, rimarca come essenziale un aspetto della figura del presbitero: «La capacità di ascolto e di portare con umanità e delicatezza quelle parole di conforto e aiuto che una persona normalmente – e soprattutto se vive situazioni di disagio – non riceve. In questo senso il prete va controcorrente rispetto alla sensibilità comune».
Lorenzo, originario di Santa Maria di Lourdes a Mestre, e oggi in servizio con la Collaborazione pastorale Gazzera – Asseggiano – Santa Barbara, prosegue sul medesimo versante: «Essenziale è essere presenti e disponibili ad ascoltare sia la voce del Signore che le persone che incontriamo sulla nostra strada. È ciò che ricordo anch’io di un cappellano: la sua capacità di dialogare con tutti, di ascoltare tutti aldilà dei pregiudizi e, soprattutto, di sostare in ascolto del Signore».
«Essenziale è essere uomini di fede, concreti e con i piedi per terra», interviene Riccardo, sesto anno di Seminario e un impegno costante nella pastorale giovanile e vocazionale: «La fede bisogna viverla nella concretezza, perché per il sacerdote si tratterà perlopiù di svolgere il proprio ministero stando in mezzo alla gente: è essenziale partire dai bisogni reali della gente per dare una risposta di Vangelo».
Al sesto anno è anche Marco, originario di San Marco Evangelista a Mestre e in servizio nella parrocchia di Santa Barbara: «Il sacerdote, sul piano essenziale, è un fedele battezzato che ha ricevuto il dono di uno specifico stato di vita. L’essenziale sta nel fatto che il sacerdote è un cristiano, una persona salvata da Gesù e per la quale Gesù dev’essere il centro della vita. E non solo sul piano affettivo, ma in una dimensione fondativa dell’esistenza. All’interno dell’incontro con Cristo si concretizza così, nella generale vocazione alla santità, la specifica vocazione al ministero sacerdotale».
Intanto, prosegue Marco, «questo relativizza il nostro ruolo, in senso positivo, perché lo si mette in subordine a Gesù, che è la fonte di ogni sacerdozio, sia di quello battesimale universale che di quello ministeriale. Poi aiuta me e tutti a vivere la chiamata a questo specifico stato di vita come una grazia cui corrispondiamo, un dono che non è meritato e neanche conquistato. In questa direzione si spiega anche l’essere contagioso di ciò che è essenziale: «Il prete deve aiutare, anche con il sacrificio della propria vita, il popolo cristiano a vivere la chiamata alla vocazione battesimale».
Per Bogus, polacco, di recente ammesso fra i candidati al presbiterato, «l’essenziale è… essenziale: è Gesù Cristo. Io sono qua perché mi ha affascinato Lui, attraverso la figura dei miei genitori e dei presbiteri che ho incontrato. Essenziale è la fede che mi hanno trasmesso in Dio che mi ama e che ha mandato suo Figlio, il quale si è incarnato ed è morto per me, e mi ha perdonato e mi perdona sempre, e mi accetta così come sono. Nessuno può darmi un amore così. Sentire che Dio è Colui che sta sempre al mio fianco e vuole salvarci per farci davvero felici – e non con le apparenze di questo mondo, che non bastano mai – è affascinante. Capisco che quanto sto dicendo non sarà accettato da tutti, perché c’è la libertà dell’uomo. Ma io credo che Cristo è affascinante e credo lo sia soprattutto oggi, in particolare per i giovani, perché il mondo è disperato. Oggi c’è bisogno di Gesù Cristo».
È con una citazione da San Giovanni Bosco che Daniele, quint’anno di Seminario, conclude la conversazione sul tema: «Il mio parroco mi ricorda sempre quello che don Bosco ha detto a san Domenico Savio: “Le tre caratteristiche per essere santi sono: essere sempre felici, pregare e portare il Signore agli altri”. Anch’io penso sia così. E che questo sia l’essenziale».
Giorgio Malavasi