Il Patriarcato di Venezia, attraverso la Caritas diocesana, è attento e disponibile ad agire come interlocutore per le realtà ecclesiali coinvolte nell’emergenza dei cittadini afghani in fuga. Lo ha comunicato oggi la Curia attraverso una nota diffusa ai parroci, facendo così seguito ad urgenze richiamate dalla Caritas italiana.
«La nostra comunità diocesana – si legge nella comunicazione firmata da don Fabrizio Favaro – si sente profondamente interpellata dalla sofferenza dei nostri fratelli e sorelle afghani e chiede al Signore di ispirare azioni caritative da unire alla preghiera, che non deve venire meno».
La Caritas del Patriarcato si porrà così come unico interlocutore tra tutte le realtà ecclesiali veneziane e le istituzioni per «intervenire in maniera coordinata».
L’obiettivo che si vuole realizzare, operando di concerto e secondo le linee di Caritas Italiana, è «offrire quei gesti di accoglienza e carità che ci dovessero essere richiesti per affiancare l’impegno dello Stato italiano e deli altri organismi pubblici, mettendo a disposizione gli strumenti che già da molti anni ci vedono impegnati con amore nell’offrire gesti di carità cristiana».
Si rende così più concreto l’interessamento della Diocesi dopo il primo grande gesto della preghiera comune, sollecitata tanto dal Papa che dalla Conferenza dei Vescovi italiani.
Non va poi sottovalutato, continua la nota, ciò dalla Caritas Italiana richiama: «chiedere forme temporanee di protezione per i circa 310 mila afghani già presenti in Italia e in Europa, perché non corrano il pericolo di essere rimpatriati, ed è forte la pressione che sta esercitando perché venga interrotto il respingimento in frontiera della rotta balcanica».
Il Patriarcato continuerà a monitorare l’evolversi di queste vicende presentando il suo contributo, nei termini e nelle modalità che si renderanno opportune.
Rimane tuttavia un drammatico problema indicato dalla Caritas Italiana: non è realizzabile la possibilità di attivare corridoi umanitari diretti dall’Afghanistan. Le procedure di accoglienza saranno gestite anzitutto dal Ministero degli Interni. Fonti governative dichiarano che le evacuazioni verso l’Italia riguarderanno complessivamente circa 2.000/2.500 collaboratori del contingente italiano ad Herat.
Marco Zane