L’insegnamento di Religione Cattolica in tempo di Covid si dimostra un’occasione di dialogo e incontro per ragazzi che vivono una “alienazione”.
Lo dicono gli insegnanti. Stanno scadendo con la fine del mese le iscrizioni nelle scuole, con la possibilità di avvalersi anche dell’insegnamento della Religione Cattolica. Una possibilità che famiglie e studenti possono scegliere per crescere nella formazione umana e cristiana ed approfondire anche i contenuti culturali della fede. Gente Veneta ha raccolto due testimonianze di insegnanti di religione della Diocesi.
Michela Taronna, mestrina, insegna in due scuole: alla “Di Vittorio” di Mestre e al “Gramsci” di Campalto. Ha una lunga esperienza come capo scout del Mestre 6.
Cosa vuol dire fare l’insegnante di religione in Dad (didattica a distanza)?
Vuol dire fare l’insegnante, in tutti i sensi, senza grandi differenze. Il mio criterio, quando eravamo in Dad è sempre stato questo: prudenza nel pormi con alunni e genitori dato che entravamo “a casa loro” (anche perché non conoscevamo le varie situazioni delle famiglie, sia in termini di lavoro che di salute); in secondo luogo ho cercato di farmi sentire. Cioè far capire che eravamo vicini. Speravo all’inizio che sarebbe durata poco… quindi abbiamo iniziato con il conservare il contatto con messaggini di saluto, consigliando film… Poi, quando abbiamo capito che sarebbe durata a lungo, mi sono inventata una sorta di “challenge”, una sfida della settimana. Una sfida fotografica: la prima è stata descrivere “Il mondo alla finestra”: davo un titolo alla sfida e i ragazzi dovevano fotografare quello che vedevano e scrivere le loro emozioni. Cercavo di mettere assieme i lavori per condividere, senza angoscia del voto, pensieri, sensazioni e idee. Ad esempio gli ho chiesto di descrivere per loro la felicità nel tempo di quarantena. Questo l’ho esteso anche a chi non faceva Religione e molti hanno aderito.
Quale è il valore aggiunto che ha dato l’insegnante di Religione in Dad?
Per i ragazzi di solito l’insegnante di Religione è “Quello buono” a cui chiedere una parola buona. Il valore dell’insegnante è quello dell’adulto: l’insegnante di Religione ha in più una sensibilità ulteriore, che comunque anche gli altri insegnanti hanno, che ci porta a sviluppare una maggiore attenzione agli studenti. Nel momento del lockdown i ragazzi avevano bisogno di sentirci vicini.
Giulio Vincoletto, di Catene di Marghera, insegna alle superiori, presso il Liceo “Tommaseo” di Venezia e ha cinque ore anche al Liceo Artistico “Marco Polo”.
L’insegnante di Religione a cosa “serve” se sei in Dad?
Essere insegnante di Religione è prezioso sempre. Soprattutto come ascolto e accoglienza. Di solito mi preparo 50 minuti di lezione con un po’ di stacco tra una lezione e l’altra. Ma i ragazzi mi chiedono di continuare perché hanno bisogno di parlare, chiedono di continuare. I giovani si sentono ancora più soli ultimamente. I miei ragazzi recentemente mi hanno detto: “Ci sentiamo alienati”; chiaro, io soluzioni non ne ho, e anche i colleghi, quindi ho proposto un consiglio di classe straordinario online, è già qualcosa. Ritengo che non possiamo ritenerci educatori solo se gli diamo un voto. La Dad ti limita molto nell’educare…, un ragazzo diceva: “Ho come paura che la vita mi scivoli via”.
Quindi in questa fase l’insegnante di Religione è un compagno di strada importante?
Sì, a volte i ragazzi ti dicono persino che un’ora di lezione è troppo poco. In questo frangente l’ora di Religione non è solo un momento in cui si rilassano, ma uno dei pochi momenti di dialogo che hanno e in cui i ragazzi possono dire qualcosa. Non è un confronto psicologico, ma un momento di paragone con la persona di Gesù Cristo. Se non ci siamo adesso come insegnanti di Religione, quando ci siamo? Adesso è “trincea” e dobbiamo esserci! E infatti, poi, i ragazzi ti chiamano e ti cercano per un consiglio. (M.Z.)