Un desiderio di pienezza: è ciò che accompagna Giacomo Ridolfi fin da quand’era bambino e che ora trova compimento nell’ordinazione sacerdotale, che sabato 22 in San Marco, con la Messa che inizierà alle ore 10, riceverà per le mani del Patriarca Francesco.
Pienezza, libertà e dono sono tre parole chiave nella vita di Giacomo, mestrino, 30 anni. Forse è il caso di partire dalla parola libertà, o da una delle sue accezioni: «È stato per volontà dei miei genitori, ma prevalentemente di mia mamma, che si dichiarava non credente, che da piccolo non sono stato battezzato. L’idea era che, rispetto al credo religioso, io fossi libero di scegliere da grande».
Ma è la Provvidenza a mettere sul cammino del piccolo Giacomo due esperienze importanti: «Quella basilare è stata mia nonna paterna, che è molto credente. Il sabato e la domenica andavo da lei e con lei andavo a Messa: semplicemente vedendola imparavo anch’io che cosa fosse la fede. Poi un giorno, quand’ero bambino, mi ha colpito una cosa», ricorda Giacomo: «In famiglia, fra parenti, si era creata una divergenza grave e c’era una frattura. Un giorno la nonna va a Messa e incontra mons. Giovanni D’Ercole, che per qualche ragione era a Mestre. La nonna pregava molto per me e per la mia famiglia in generale, affinché potessimo tutti tornare in armonia, riconciliandoci. Ma non fa neanche in tempo a tirare fuori le nostre foto che mons. D’Ercole le dice “stia serena, signora, torneranno”. E questo episodio, che la nonna mi ha raccontato spesso, mi ha colpito perché questa è stata la fede della nonna, alimentata di speranza».
Anche l’ora di religione a scuola diventa per Giacomo un’occasione ricca: «Ho iniziato lì gradualmente a conoscere e capire chi fosse Gesù, gli episodi della sua vita, chi erano gli apostoli…». Tanto che a 9 anni, in cuor suo più che esplicitamente, Giacomo avverte il desiderio di diventare cristiano grazie al sacramento che gli è mancato. La cosa, però, non si concretizza subito.
Nel 2007 un altro episodio drammatico: la separazione dei genitori. Ma anche in questo caso, per le righe storte passano le tracce dritte della Provvidenza, che ha ancora soprattutto il volto della nonna, con la quale il ragazzo si trova più spesso e che torna a seguire anche in chiesa.
Il resto lo fa una… gita scolastica: «Era il 2008, avevo 14 anni. Dovevamo prendere un aereo e, forse ripensando alla tragedia delle Torri gemelle di New York, mi sono trovato a pensare: ma se l’aereo dovesse cadere e io dovessi morire – io che non sono battezzato – cosa sarebbe di me?».
Torna il desiderio del Battesimo e la richiesta di Giacomo circola in famiglia; tanto che una prozia della parrocchia di San Lorenzo Giustiniani prende contatti con l’allora parroco don Gianni Antoniazzi, subito lieto di accogliere quel desiderio, dicendo però che sarebbe stato meglio avviare un percorso di catechesi da settembre. «E io – ricorda Giacomo – ribattevo: ma il viaggio devo farlo adesso… Tanto che don Gianni risponde: “Fai il viaggio e non ti preoccupare: tu non hai ricevuto il sacramento del Battesimo ma hai in te il Battesimo del desiderio: se hai questo desiderio non devi aver paura”».
La gita scolastica si compie felicemente e qualche tempo dopo è ancora la nonna a richiamare il nipote all’opportunità che viene dalla libertà: «Mi mostra il telefono cordless e mi dice: “A te la scelta: vuoi ricevere il Battesimo? Se lo vuoi prendi il telefono e chiama don Gianni”. Insomma, la nonna mi richiama al mio impegno e mi lascia nella libertà; così mi trovo di fronte al telefono e penso: il desiderio di ricevere il Battesimo c’è, ma adesso, che io lo chieda oppure no, cosa cambia? Io però voglio rimanere fedele a ciò che fin da piccolo volevo. Così decido e chiamo don Gianni». E nella veglia di Pasqua 2009 Giacomo riceve tre sacramenti: Battesimo, Eucarestia e Confermazione.
La vita continua poi con la scuola – ragioneria al Foscari – e l’università: economia aziendale a Ca’ Foscari, con laurea triennale nel 2017: «Mi piaceva l’analisi dei costi, la contabilità gestionale, il buon funzionamento dell’azienda…». E la fede? Facciamo un passo indietro: «Don Gianni mi invita a partecipare al campo di orientamento vocazionale, allora guidato da don Raffaele Muresu. E di fronte alla mia domanda – Signore, indicami una strada… – quell’anno al campo c’era il segno di una lampada, dentro cui c’erano il nome e il cognome di ciascuno di noi. È stato allora che mi sono trovato di nuovo di fronte a un bivio, come quello del cordless, chiamato ad esercitare la mia libertà. Pensavo: potrei lasciar perdere e non continuare. In quel momento ho deciso invece di fare un percorso di discernimento, partecipando agli incontri mensili al Centro Urbani di Zelarino, con don Raffaele e don Fabio Miotto».
Ma un ragazzo di 16-17 anni perché vuole entrare in Seminario? «Vedevo persone felici e che si volevano bene. Mi colpiva, per esempio, la fraternità fra i frati e le suore: un modo di volersi bene che non avevo visto da altre parti. E questo mi colpiva davvero tanto. Non ho pensato inizialmente alla vita del sacerdote in sé, ma a quest’esperienza di fraternità differente rispetto ad altri stili di relazione».
Poi un passaggio di consapevolezza, dove si affacciano prepotentemente le idee di dono e di pienezza: «Conducevo – ricorda Giacomo Ridolfi – una normale vita da cristiano. Pensavo: a catechismo ci vado, a Messa pure, mi confesso, prego le Lodi… Al contempo avevo presente dei progetti: continuare l’università, trovarmi una ragazza, avere una macchina e alla fine… farmi gli affari miei, stare tranquillo. Ma quando questi pensieri si affacciavano non ero felice. E benché non ci fosse in essi nulla di male sentivo che mancava qualcosa. Capivo che della mia vita non stavo facendo un dono, ma volevo farla mia, e di ciò si rendeva conto la mia tristezza. Io cercavo tutte queste cose, ma in effetti volevo nascondermi, scavare una buca, mettere il mio talento sottoterra».
Anche l’innamoramento per una ragazza, a 18 anni, non fa che rendere Giacomo maggiormente consapevole «che il Signore mi stava chiedendo un’altra cosa». La strada è tracciata, il desiderio si fa via via più chiaro e riceve conferme anche negli anni successivi, fino a quando un sacerdote gli dice netto: «La tua è una grande vocazione al sacerdozio».
Da lì il percorso continua con l’ingresso in Seminario e la formazione, fino ad oggi, fino all’ordinazione di sabato 22 in San Marco. Passando per un altro momento chiave, sia dal punto di vista umano che religioso: la perdita della mamma. Un momento in cui libertà, dono e pienezza di vita si intersecano di nuovo. «La mamma – ricorda don Giacomo – è mancata nel 2023, per un tumore. Quello che mi premeva era che prima di lasciare questa vita potesse incontrare il Signore. Da tempo mi ero posto anche per lei la domanda che mi ero fatto io prima della gita scolastica in aereo. Perciò volevo che potesse credere e fin dai 15-16 anni ho iniziato a pregare per lei, un’Ave Maria tutte le sere, chiedendo al Signore che la potesse convertire».
Poi l’ultima stagione, quella della malattia: «Quello che mi commuove e mi aiuta anche oggi è che lei, nell’ultimo giorno della sua vita, guardava il crocifisso. Qualcuno diceva: è un riflesso involontario. Non credo. Esplicitamente non aveva mai detto di aver rivisto la sua posizione, ma un giorno, in ospedale, dopo che per il Covid non aveva potuto ricevere nessuno per molto tempo, mi dice: “Comunque che c’è sempre qualcuno che mi guarda”. E io le dico: ma chi è? Non vedo nessuno; e di certo non pensavo a Gesù. E lei: “C’è Gesù che mi guarda”. Quelle parole mi hanno commosso, così come il suo sguardo al Crocifisso. Io non so se si sia convertita, ma tutto ciò mi fa credere che lei all’ultimo abbia incontrato il Signore».
Giorgio Malavasi