Mettere in conto che l’annuncio del Vangelo può non essere accolto dagli altri come noi ci aspetteremmo e vorremmo. Questo il centro del messaggio espresso dal Patriarca Francesco sabato sera – nel corso della Visita pastorale nella collaborazione di Jesolo-Cortellazzo – ai catechisti, insegnanti, gruppi d’ascolto ed equipe della “Missione Belém”.
Certo, il rifiuto che un catechista può ricevere è doloroso, ma è altrettanto vero che non fa che metterlo sulla strada giusta del Vangelo. «Ciò che dobbiamo cercare di combattere è quel senso di abbandono che ci prende di fronte agli insuccessi. La prima cosa che un catechista deve fare? Mettersi in testa che lo stesso Gesù è stato rifiutato ed è il Vangelo di Luca – quello della maturità cristiana – a dircelo. Noi dobbiamo presupporre di non essere più di Gesù: la maturità di un catechista, di un evangelizzatore, di un parroco o di una comunità sta nel capire che anche l’umiliazione del rifiuto fa parte del suo compito», evidenzia mons. Moraglia, riflettendo inoltre su quanto sia fondamentale – nell’ambito della formazione cristiana dei più piccoli – la presenza concreta di mamme e papà.
Il catechista, insomma, non può essere visto come colui al quale viene demandato tutto quello che in famiglia non va o che a scuola non viene fatto; al contrario, il suo ruolo deve essere sostenuto anche e soprattutto dai genitori che, finché i figli sono piccoli, hanno la possibilità di mostrare loro cosa sia realmente bello e ricco di significato. «Pensiamo alla Messa: se il bambino vedrà – continua il Vescovo di Venezia – quanto sia importante per mamma e papà, allora ci andrà anche lui».
E, nel corso dell’incontro, il Patriarca si è rivolto anche agli insegnanti presenti, incitati ad essere persone “umane”. «L’atteggiamento umano – commenta infatti – diventa per l’insegnante cattolico una risorsa, un annuncio evangelico. Non è chiamato a fare catechismo ma ad esprimere come la nostra fede, in Italia, abbia creato dei valori, una cultura».
Marta Gasparon