“Oggi ci ritroviamo in questo luogo sacro, perché abbiamo celebrato, attraverso la Messa, il nostro essere fraternità: un luogo per nulla scontato, un luogo che è grembo della Chiesa e simbolo di Venezia”.
Sono queste alcune delle parole che gli studenti hanno pronunciato in Basilica di San Marco nell’intervento conclusivo alla Messa di inizio anno accademico per 500 studenti e docenti, celebrata martedì 5 novembre proprio all’interno di quel luogo sacro che da secoli rappresenta uno dei simboli portanti della città di Venezia e fulcro vivo della sua comunità cristiana. Anche don Gilberto Sabbadin, responsabile della Pastorale Universitaria di Venezia, nel saluto di apertura alla Messa ricorda l’importanza di celebrare l’Eucarestia “nel luogo ove vi è la cattedra del Vescovo diocesano, che per noi ora è il Patriarca Francesco”.
I 500 studenti, le autorità accademiche, i docenti, il Patriarca Francesco Moraglia e tutti i presenti sono stati invitati, alla fine della celebrazione, a volgere il loro sguardo verso l’alto, per ammirare quella bellezza eterna e universale che soltanto l’arte è in grado di donare. Protagonista di questa contemplazione un mosaico, quello della Cupola della Pentecoste, con i suoi dodici Apostoli disposti in quel cerchio perfetto e convergente nella dimensione eterna di Dio Padre. Un mosaico simbolico in cui, come affermano gli studenti nel discorso conclusivo alla celebrazione, “ogni tessera, con la sua luce e il suo colore, riflette un patrimonio spirituale, un’esperienza di vita che chiama all’appello ciascuno di noi”. È infatti nei dodici Apostoli che ciascuno vede riflessa la propria identità di uomo, grazie a quella luminosità inimitabile che soltanto la luce dorata dei mosaici della Basilica è in grado di regalare, a chi si sofferma a guardare e a lasciarsi illuminare.
Ed è proprio all’appello di Dio che il Patriarca Francesco ha fatto riferimento nell’omelia, affermando che, attraverso la Sua vocazione, “Dio ti chiama, qualunque età tu abbia, perché la vocazione si estende quanto si estende la tua vita”.
L’invito agli studenti è proprio quello di cogliere questa chiamata irripetibile offerta da Dio, di “allargare il nostro sguardo, di cercare di cogliere qualcosa che va oltre l’immediato”, proprio perché “il tempo dell’università è breve, sono anni circoscritti, ma che segnano il futuro, perché specificamente formativi”. Ed è nello specifico su questo snodo che si sofferma il Patriarca, invitando gli studenti ad interrogarsi sul valore dell’università come luogo non solo formativo, ma anche e soprattutto come ambiente educativo. È infatti attraverso il “lasciarsi educare” che diventa possibile dare una qualità al tempo, caratteristica che fa la differenza.
“Vivere l’università come il tempo che dispensa l’educazione, piuttosto che come il tempo che mi istruisce”, rappresenta il vero valore di questi anni preziosi per la vita dei giovani, proprio perché l’educazione della persona rappresenta qualcosa di ineludibile. L’educazione infatti, come conferma il Patriarca, “riguarda l’io, il noi, la persona, e plasma quello che c’è di irrinunciabile in ciascuno di noi, la nostra umanità”. Ed è soltanto in questo modo che il sapere tecnico-scientifico, caratteristico del mondo in cui viviamo, può essere offerto e dispensato in modo umano.
Anche don Gilberto ricorda l’importanza che lo “stare in cattedra” assume per il docente universitario, il quale deve essere in grado di educare gli studenti non solo al sapere, ma anche al vivere. È lui che deve infatti cercare di far sviluppare agli studenti delle “competenze trasversali, promuovendo esperienze autenticamente educative a partire da quanto s’insegna”. In conclusione all’omelia, il Patriarca sottolinea anche che “fede e ragione insieme cercano di dire la verità”, ma che è la fede a salvare la ragione, “perché non ci può essere un atto di fede che non sia ragionevole”.
In questa contemplazione di Dio nel mosaico, dove ognuno è in grado di specchiarsi nel Padre, l’invito è quello di riconoscere che Dio non è l’altro, il lontano e il diverso da noi, ma che è invece “un Dio che vive qui, in mezzo alla sua comunità ed è il legante che unisce, è l’Amore infinito che genera relazioni”.
In questa convergenza di sguardi a cui tutti siamo chiamati possiamo riconoscere chi siamo nel nostro riflesso in Lui, e comprendere che davanti ai Suoi occhi non esistono distinzioni, proprio come l’uguale distanza che separa gli Apostoli da Dio nel mosaico della Cupola. Ed è grazie a quel luogo di incontro che è la Pastorale Universitaria che gli studenti possono essere in grado di realizzare queste due dimensioni imprescindibili nella loro vita, quelle della fraternità e dell’uguaglianza, senza le quali nessuna relazione vera è possibile.
Si conclude così, all’insegna dell’oro e dell’augurio del Patriarca Francesco agli studenti per l’inizio di un anno accademico ricco e soddisfacente, questo momento unico e irripetibile, in quel luogo dove “ogni tessera nasconde una verità: la gioia che nasce dal riconoscere la propria piccola storia all’interno di una storia eterna”.
Elisa Davoli