«Avevo 22 anni, era la vigilia dell’Immacolata. Eravamo in montagna, io e i miei genitori. Loro mi dicono: “Noi andiamo a Messa; tu, dato che resti, per favore prepara da mangiare”. E io, a sorpresa: no, vengo anch’io a Messa stasera. Era da quando avevo 14 anni che non ci andavo più. Ma quella sera, a Messa, ho sentito una sete di prendere, di cogliere qualcosa che mi mancava da tanto tempo. E da lì, a piccoli passi, ho cominciato a ri-frequentare la Chiesa e la liturgia della domenica, sentendo che il Vangelo e la parola del sacerdote ogni tanto mi interpellavano, che certe cose me le sentivo addosso».
Fra Mattia Senzani, 41 anni il prossimo 7 novembre, riceverà, insieme al seminarista Bogumil Wasiewicz, sabato 6 in San Marco l’ordinazione diaconale. Fra Mattia, francescano Cappuccino, è di Lecco, ma questi ultimi anni li ha trascorsi alla Giudecca, formandosi allo Studio teologico. Non avrebbe mai pensato, a 14 anni, di studiare tanto e tantomeno di diventare frate e diacono e, tra breve, sacerdote.
«Figlio unico – racconta – sono nato e cresciuto in una famiglia cristiana praticante e con un senso religioso forte, anche se non molto coinvolta in parrocchia. Anch’io andavo in parrocchia per la Messa e il catechismo, fino alla Cresima. Poi basta».
Quel che si semina, però, spesso al momento opportuno nasce e porta frutto: «Quand’ero piccolo e papà lavorava tutto il giorno – medico in ospedale – lo vedevo alla sera, quando rientrava. Era lui la persona deputata a portarmi a letto e lui mi ha insegnato le preghiere prima di addormentarmi. Così, anche quando poi, nell’adolescenza, non ho più frequentato la Chiesa e non credevo tanto, mi è rimasta quell’abitudine, di dire una preghiera la sera…».
Mattia frequenta la materna, le elementari e le medie in scuole cattoliche, poi passa al liceo scientifico statale. Un passaggio brusco, che coincide anche con il balzo dell’adolescenza: «In prima liceo – ricorda il frate – c’è stata la crisi. Studiavo poco e malvolentieri e in quel momento ho deciso che non sarei più andato in chiesa: non seguo più quello che dicono i miei genitori – pensavo – e faccio quello che voglio io. In effetti facevo quello che volevo, mi divertivo…: i miei genitori devono aver sofferto abbastanza per quei miei comportamenti».
Poi un anno di scambio interculturale in America, «per nulla meritato, vissuto come una vacanza», sorride fra Mattia; quindi il diploma e l’iscrizione all’università, a ingegneria informatica. «Il primo anno ho fatto molta fatica: per forza, non avevo le basi… La svolta è avvenuta quando ho conosciuto una ragazza, Silvia, anche lei universitaria: mi si sono aperti gli occhi e ho cominciato a guardare la realtà in modo diverso. Il primo amore produce questi esiti. Prima, infatti, vivevo in modo superficiale, al centro c’era il divertirmi, cose effimere… Invece, grazie ad un amore vero, anche la città dove vivevo, le amicizie, lo studio e la famiglia hanno preso un gusto nuovo; mi sono riavvicinato ai miei genitori. Oggi ringrazio il Signore di aver conosciuto questa ragazza, la mia vita ha cambiato marcia. E anche la fede è rispuntata».
Sì, perché si sono affacciate le domande di senso: sul significato della vita, sulla morte, su quel che ci sarà dopo…: «Tutte cose che ti fanno tremare. Il fatto è che non riuscivo a trovare risposte, perché non avevo qualcuno di grande con cui confidarmi. Ma mi colpiva vedere la fedeltà dei miei genitori o vedere la mamma che andava da un frate a confessarsi. Vedere i miei genitori che avevano questa fede forte, che però non mi facevano pesare e che testimoniavano con la vita in casa, anche con le fatiche del quotidiano, mi ha smosso: si vedeva che c’era qualcosa sotto, qualcosa di vero…».
E lì è tornata la voglia di andare a Messa: «Comunque stavo in fondo, durante la liturgia, molto lontano; finché dopo un paio d’anni, per una Dio-incidenza – così io chiamo le coincidenze – mi è capitato di andare in una chiesa dove ci sono i Cappuccini, a Lecco. E lì vedere il frate che, dopo la Messa, usciva dalla chiesa, stava lì a parlare con noi, con me e la mia ragazza anche se non ci conosceva, mi ha colpito molto. E questo mi faceva stare bene e mi faceva dire dire: che bello stare qua!».
Da lì una sorta di escalation: «A Pasqua del 2003 mi sono confessato: erano otto-nove anni che non lo facevo. È stata una liberazione: sono uscito rinato e mi sono riaccostato ai sacramenti».
A quel punto, però, poteva andare a finire che Mattia si metteva a lavorare (lo ha fatto per sei anni, dopo la laurea, a Milano, presso due multinazionali dell’informatica) e che si sposava…: «Ma alla fine dell’università – ricorda – c’è stato un raffreddamento del rapporto con Silvia e ci siamo lasciati. Siamo stati insieme sei anni, siamo cresciuti insieme, ciascuno ha visto la ricchezza della relazione, ciascuno ne ha guadagnato qualcosa, ma si era spento il desiderio di stare insieme. Ci siamo però lasciati bene: anche adesso ci vediamo e ci sentiamo, lei ha due bambini, sono stato padrino della più piccola…».
A piccoli ma continui passi prosegue invece la crescita del desiderio di Dio e di Chiesa e la voglia di dedicare la vita per questo scopo tra i francescani. Le esperienze con i Cappuccini si ampliano e nel 2013 Mattia si licenzia ed entra in convento, a Tortona, per il noviziato. Un percorso che si chiarisce e diventa sempre più consapevole, fino alle tappe dei voti perpetui e, fra pochi giorni, del diaconato.
Giorgio Malavasi