Carissimi fedeli, presbiteri, diaconi, consacrati, consacrate, laici,
quest’anno, non potremo celebrare insieme la Pasqua, desidero, così, raggiungervi con questo scritto e dirvi il mio grazie e la mia ammirazione, perché molti preti con le loro comunità si spendono per mantenere viva la comunione in questo tempo di diaspora. Da oltre un mese viviamo in un paese “bloccato” e questo ci interpella come cittadini e come battezzati.
Nel rispetto delle disposizioni di legge, chiedo a tutti d’impegnarsi, in spirito di fede, con saggezza e sana creatività, per tener acceso anche il più piccolo lucignolo di reciprocità.
Noi preti, poi, siamo chiamati a dare il nostro contributo anche come responsabili di comunità; soffriamo di non poter compiere i gesti ordinari del nostro ministero, impediti a celebrare l’Eucaristica col popolo che, comunque, è sempre ben presente nelle nostre Messe quotidiane poiché le porte della Chiesa, il Corpo mistico di Cristo, sono sempre aperte, anzi, spalancate per tutti.
Giovedì santo non celebreremo la Messa crismale e non vi sarà il rinnovo delle promesse sacerdotali; provvediamo personalmente, con animo grato al Signore e, a Dio piacendo, finita l’emergenza, la celebreremo con una gioia ancora più intensa.
In questi giorni, una volta di più, noi preti abbiamo percepito quanto siamo amati dalle nostre comunità e quanto noi le amiamo. Sì, perché il prete e la Chiesa non sono invenzioni degli uomini ma nascono dal Cuore di Gesù. Alcuni sacerdoti giovani, oltre a quelli già impegnati nella pastorale della salute, si sono offerti per seguire spiritualmente i malati di Covid 19; li ringrazio perché tale gesto vale più tanti di tanti altri, magari ripresi dai media.
Ringrazio anche la Caritas diocesana, le mense, i dormitori, la San Vincenzo, tutti i centri di aiuto vicariali e delle collaborazioni pastorali, tutte le diverse case che in diocesi accolgono i più fragili e i loro instancabili, generosi operatori. Un ricordo va poi ai malati, ai defunti, ai loro familiari.
Desidero, ora, riflettere con voi, fedeli ordinati, consacrati e laici, sulla situazione sociale che ci sta dinanzi nel breve e medio periodo. L’emergenza che viviamo ci ha mostrato in modo chiarissimo che, un giorno, possiamo trovarci dalla parte dei forti e, l’altro, dalla parte dei deboli: la solidarietà e l’interdipendenza non sono solo regole da applicare, ma stili di vita da assumere.
Come Chiesa non possiamo farci trovare impreparati o, ancor più, disinteressati; piuttosto dobbiamo cercare un nuovo approccio culturale, elaborare nuovi stili di vita, così, da porre finalmente, una buona volta, al centro del quadrante della cultura e della società la persona e la relazione su cui essa fonda le sue origini: la famiglia. Sì, una politica a favore della persona e della famiglia.
Dobbiamo, poi, richiedere a voce alta una finanza ed un’economia che, nel rispetto delle loro “proprie” leggi, siano attente all’istanza etica e sappiano considerare le fragilità e i bisogni degli uomini come loro componenti intrinseci e non subordinati alla finanza e all’economia stessa; i poveri esistono, non sono un’astrazione, sono soggetti vivi e reali, costituiscono una componente che abita le nostre città, i nostri territori, il mondo, non possono essere nascosti.
Una finanza e un’economia che non ne tengano conto sono saperi astratti, ripiegati su sé stessi; alla fine, un male, perché i nodi, prima o poi, vengono drammaticamente al pettine. Non si può, inoltre, non pensare all’importanza del mondo del lavoro in ogni sua articolazione, imprenditoriale e dipendente: rivolgo una parola di incoraggiamento a chi, con la sua attività, produce reddito per sé e per gli altri, le piccole e medie imprese, gangli vitali e vere ricchezze del nostro territorio.
A livello mondiale, attraverso una politica sanitaria diversa avremmo potuto contrastare meglio la pandemia Covid 19? L’Occidente è stato capace di pensare la salute personale in termine di bene pubblico a prescindere dal censo? E per quanto riguarda i nuovi metodi di screening sistematico per le persone infette e il loro tracciamento si poteva fare di più? Non si vogliono certo impartire troppo facili lezioni ex post, perché moltissimo si è fatto anche grazie al sacrificio della vita di troppi medici, operatori sanitari e volontari, veri eroi e santi di questi giorni;
l’insegnamento, comunque, è chiaro: prevenire costa meno che curare. Ringrazio pure quanti hanno saputo assumersi responsabilità, tenere la rotta, anche con decisioni non facili per tutelare la comunità.
Ecco perché dobbiamo spenderci per una cultura politica (che non s’improvvisa), in grado di porre la persona e il bene comune della salute, davanti ad altre scelte, soprattutto, prima dell’assillo per il PIL.
Dobbiamo così impegnarci per una finanza e un’economia che mettano al primo posto la destinazione universale dei beni, correlando equilibratamente con tale principio quello della proprietà privata; abbiamo anche bisogno di ripensare la sussidiarietà in vista di una reale, non utopica, solidarietà; questi sono principi irrinunciabili se vogliamo vivere in una società e in un mondo più solidale e meno conflittuale; Dio ci guardi sia da uno Stato centralizzato e assistenzialista, sia da uno Stato liberista in senso individualistico; le recenti crisi finanziare, economiche, ambientali e, ora, quella sanitaria, ce lo dicono in modo inequivocabile. Sì, la crisi mondiale che dovremo affrontare ci chiede una vera rivoluzione copernicana nel pensare l’uomo e le sue relazioni sociali e politiche.
Posiamo lo sguardo tutti insieme sui nostri territori con amore e con fiducia. Non come se lo posassimo su un coacervo di problemi irrisolti ma sul luogo del popolo, dove nascono i sentimenti, gli affetti, i rapporti di reciprocità, di solidarietà, di amicizia, di comunione, come qualcosa che dona respiro all’anima, pace al cuore, serenità allo spirito. Il nostro sguardo di credenti non sia mai pregiudizialmente tranquillizzante o estraniante; piuttosto capace di risvegliare le energie sopite, di riscoprire vocazioni e talenti nascosti, ridestando l’annuncio del Vangelo, rinnovando i propositi dimenticati.
Desidero infine soffermarmi su un pensiero che, sempre, fu caro ai santi, ovvero, “tutto è grazia”; un pensiero che li ha accompagnati nei momenti più bui della loro vita, in cui tutto veniva meno; ed essi continuavano a credere che Dio fosse sempre all’opera proprio quando sembrava assente. Penso qui a Santa Teresa del Bambino Gesù, dottore della Chiesa e, al pastore Dietrich Bonhoeffer, giustiziato a Flossemburg; per questi due testimoni di Cristo, Dio non abbandona mai, parla nei fatti e coi fatti, con le persone e nelle persone; però, poter dire che tutto è grazia, richiede che se ne sia fatta l’esperienza, se no, è impossibile parlarne. La grazia è opera di Dio, è Dio stesso che si rende presente nella storia di una persona, di una
comunità, è Dio che, come Padre, ci obbliga a fare i conti con il nostro io, con le nostre abitudini, con le nostre sicurezze.
La grazia, in sé, va oltre il sacro e il profano, perché Dio è autore dell’uno e dell’altro; siamo noi uomini che abbiamo bisogno di distinguere sacro e profano, perché la nostra vita sia tutta di Dio, in ogni momento, in ogni situazione, sempre.
In questi giorni, abbiamo potuto “toccare con mano” che la Chiesa è una comunità reale che vive dell’incontro e nell’incontro, una comunità che è costituita dall’Eucaristia, dove il vescovo e il presbitero in comunione con lui, sono segno di Gesù eterno sacerdote. La Chiesa è una convocazione vivente non è una sequenza di contatti virtuali; certo TV e social sono stati preziosissimi e, in qualche modo, lo rimangono, ma ci hanno fatto comprendere che la Chiesa è ben altro: è incontro reale perché in essa tutto parte dalla realtà dell’incarnazione e della risurrezione, dalla Parola proclamata e dai sacramenti celebrati. Così, abbiamo riscoperto qualcosa su cui tenere desta la memoria, ossia, la Chiesa non è e mai sarà una comunità virtuale, che si contatta digitando su dei tasti; essa è il gioioso convenire di giovani, anziani, famiglie, sani e malati, ricchi e poveri, che professano la stessa fede in Gesù, vero Dio e vero Uomo, condividendo l’unico pane; e la Parola e i sacramenti partecipano di tale realismo, non corrono sul filo del telefono o dei social e richiedono la presenza fisica.
Sì, tutto è grazia, e per chi vuole scrutare il Mistero, allora l’invisibile si fa visibile e s’intuisce che, se tutto quello che succede non è solamente volontà di Dio, però, nulla accade senza che la sua volontà lo permetta; o Dio lo vuole o Dio lo permette, sempre in un orizzonte di bene più alto.
Carissimi, in una Pasqua che tutti ricorderemo per la sua eccezionalità, chiediamo alla Madonna della Salute l’aiuto che sempre ha dato ai nostri vecchi, affinché anche noi in questa prova sentiamo la sua materna presenza.
Con affetto benedico tutti,
+ Francesco, patriarca
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