Si è seduta sulla sua sedia, davanti alla sua macchina da cucire, ad assorbire l’aria che respirava lui, a muoversi negli spazi che abitava lui, a seguire lo stesso ritmo che la cucitrice imponeva al suo estro creativo.
Nemmeno il tempo di rielaborare il lutto e si è ritrovata a ripeterne i gesti, ad assumerne la postura, a ruotare il capo con quella particolare inclinazione.
Da vedova a cappellaia dei veneziani. È successo in un baleno. «Ha mai visto Ghost, il film?», prende in prestito la scena del vaso per spiegarsi meglio. «L’ho osservato tante volte prima che morisse, mentre lavorava. Ora che non c’è più è come se fosse al mio fianco. Lui è in ogni mio gesto in laboratorio. Ed è una sensazione tanto bella quanto difficile da gestire. Anche se non faccio altro che imitarlo».
Sara Sprocati imita il marito che fino all’aprile 2017 s’inventava cappelli. Non copricapi qualunque, la maggior parte dei cappelli storici veneziani venduti in laguna li faceva lui: Luca Iurcotta.
L’unico senza cuciture. I tricorni gli venivano così bene che li ha pure brevettati, unico al mondo a fabbricarli senza cuciture. Le sue creazioni hanno sedotto anche super marchi a stelle e strisce.
E lei, vedova all’improvviso, prende subito le redini del laboratorio di Scorzé, rilevando la parte che seguiva il marito e condividendo tutto il resto con la suocera, all’interno di un’impresa fondata da Adriano Marchiori nel 1978. «Da quest’anno ho la mia partita iva e sono diventata ufficialmente artigiana» la sventola con orgoglio Sara.
Ora è alle prese con tricorno, bauta, medico della peste, balanzone, napoleone e chi più cappelli carnevaleschi veneziani ha più ne metta. È il periodo più caotico dell’anno. «Mio marito andava via veloce. Io sto imparando. Mia suocera dice che me la sto cavando bene, che lo sostituisco con onore».
Creatività, tradizione, qualità. La suocera è Silvana Martin, visionaria sarta del veneziano, titolare del marchio Balocoloc, adesso gestito tutto al femminile. E l’alleanza con la nuora sta dando i suoi frutti. Anche le richieste per le evocazioni storiche sono tante. Così come gli abiti su misura. O i cappelli su commissione. Da quello del cappellaio matto a quello di Willy Wonka.
Per non parlare del fatto che anche quest’anno decine e decine di botteghe veneziane bussano alla porta del laboratorio di Scorzé per rifornirsi al meglio per il Carnevale. Qui si naviga tra stoffe di tutti i tipi, mantelli, abiti, coprispalle e naturalmente cappelli. Tessuti originali. Tutti made in Italy. «Cerchiamo di mantenere alta la fattura nonostante i costi. Mia suocera si occupa di tutta la parte sartoriale, anche nel resto dell’anno, dal vestito da sposa a quello teatrale. È lei la fautrice di tutto. Quando crea ha delle intuizioni geniali. Nel passato ha gestito anche direttamente due negozi creativi in centro storico. Non smetterò mai di ringraziarla per quello che mi sta insegnando. Bontà d’animo, ingegno infinito e carattere. Questa è mia suocera. Non è facile – ride lei – perché è pur sempre la suocera. Ma mi trovo bene. Come suo figlio siamo tutte e due un po’ pazzerelle, artiste, spinte dal desiderio di creare con le mani».
«Un’invenzione che ora ci copiano». Eppure Sara e Luca si conoscono con il parapendio. Altro che artigianato. 23 anni fa. Grandi amici per 13 anni. Poi la scintilla, il matrimonio e una bimba, che ora ha nove anni. E ancor prima Luca, in età utile, si inserisce nell’attività della mamma sviluppando il settore dei cappelli.
«Quando se n’è andato è rimasta sguarnita la parte più importante di tutta l’azienda. Con mia suocera si era inventato un nuovo modo di assemblare i tricorni. Hanno trovato la maniera per renderli “impirabili” senza cucire la tesa alla testa, che ora ci copiano tutti. Tutto sommato è una soddisfazione – ride ancora – succede anche nell’alta moda».
La prima opera della neo cappellaia è stata il cappello di Alice. «Tutta una struttura in metallo assemblata pezzo per pezzo, saldata e poi cucita insieme. Cercavamo di capire come fare per renderlo leggero ma allo stesso tempo grande, trasparente, con una struttura solida. Ne abbiamo realizzati due perché il primo l’abbiamo venduto subito. Ma è stato un lavorone».
E pensare che lavori come questi hanno permesso nel 2001 di aprire una sede di Balocoloc anche in America, in un grande parco divertimenti a tema, a Orlando, negli Stati Uniti, che le clausole del contratto impongono di non nominare. «Mia suocera e il figlio hanno contrattato con uno dei più potenti e ricchi uomini degli Usa e l’hanno spuntata» ne racconta le gesta con orgoglio Sara.
Ora uno dei figli di Silvana è stabile lì, a gestire quella succursale a stelle e strisce. Ma non è l’unico super marchio con cui la Balocoloc ha collaborato. Tempo fa ha fornito accessori ricercati, per gli allestimenti di vetrine e sfilate di moda, all’intimo di lusso firmato La perla.
Non si arricchisce, ma si vive. La vera espansione dell’attività, che la trasforma in impresa, è avvenuta dopo il 1985: «Quando è rinato il carnevale veneziano c’è stata un’esplosione di richieste dei nostri lavori. E quando è nato il mercatino delle maschere e dell’artigianato 35 anni fa eravamo nel gruppo dei vecchi mascherai fondatori». Ora le due donne rimaste hanno fatto un patto: «Lei mi insegna i segreti e io cerco di dare un’idea più nuova all’azienda, pur mantenendo la tradizione».
E gli affari ora come vanno? «Non siamo ricchi, ma questa impresa ci dà ancora da vivere».
Giulia Busetto