A trent’anni dalla morte, un omaggio alla prima donna iscritta all’Albo dei giornalisti del Veneto: la veneziana di adozione Teresa Sensi. Se ne parla giovedì 9 marzo, alle 17 al Centro Candiani di Mestre, grazie all’iniziativa proposta da Upm (Università popolare Mestre) in occasione della Festa della donna.
A tratteggiare il profilo ricco e variegato nella sua esperienza professionale di giornalista e scrittrice, sarà la giornalista Daniela Zamburlin, che si è prodigata nel recuperare alla memoria collettiva la figura di Teresa Sensi, a torto dimenticata e poco valorizzata. Quindi il dibattito con Monica Andolfatto, segretaria del Sindacato giornalisti Veneto, che per l’esame professionale portò una tesina su Teresa Sensi, e con il presidente dell’Odg regionale, Giuliano Gargano.
«La vita di Teresa Sensi – afferma Zamburlin – fu priva di grandi avvenimenti ma ricca di scelte significative, come ad esempio la decisione di lavorare per mantenersi intraprendendo una professione al tempo quasi proibitiva per le donne, o il rifiuto di considerare il matrimonio l’unico scopo dell’esistenza».
La tessera dell’Ordine dei giornalisti del Veneto di Teresa Sensi porta la data del 9 luglio 1929: quattro anni prima a dicembre con la legge n. 2307, era stato istituito l’Ordine dei Giornalisti con sedi nelle città dove esisteva la Corte d’Appello e solo agli iscritti negli Albi locali era consentito di esercitare la professione. Sensi aveva 3o anni e si era trasferita da Perugia a Venezia a casa di una zia che aveva sposato un professore dell’Università Ca’ Foscari. Era scoppiata la guerra. Si può considerare una delle prime giornaliste organiche a una redazione: il debutto in quella della Gazzetta di Venezia, poi in quella de Il Gazzettino dove scrisse fino a pochi giorni prima della morte.
«Doveva occuparsi di critica letteraria, di scrivere racconti, di correggere bozze. Il suo giornalismo conquistò il pubblico femminile: i suoi consigli di moda, di cucina, di bon ton divennero legge, i libri che recensiva erano tra i più venduti. Quando uscì la sua seconda raccolta di novelle, La casa di carta – spiega sempre Zamburlin – l’editore Angelo Rizzoli la sollecitò a scrivere un romanzo. Teresa accettò: L’amore degli altri, fu il primo di una lunga serie di romanzi d’amore (una ventina), tutti pubblicati da Rizzoli. Che ne fece una delle sue autrici preferite. Negli anni Quaranta e Cinquanta, ammirata e famosa, Teresa Sensi si divise con successo tra giornalismo e letteratura. L’uscita di ogni libro costituiva un avvenimento per lettrici e lettori, la critica l’apprezzava per la sua tecnica narrativa, la scelta delle vicende, la scrittura sobria e nitida».
Il matrimonio con il pittore Carlo Dalla Zorza arrivò inaspettato nel 1946. Sensi aveva molte relazioni in campo professionale e amicizie selezionate. Conosceva Ada Negri ed Emma Gramatica, fu grande amica di Milli Dandolo, di Matilde Sironi, moglie del pittore Mario, e di Luisa Bàccara, la pianista che aveva a lungo vissuto con D’Annunzio. Anche il pittore De Pisis frequentava la sua casa..
«Dopo la morte del marito, nel 1977, Sensi, si ritirò in una solitudine sempre più esasperata, lontana da un mondo in cui non si riconosceva. Anche la sua vita professionale cambiò: i gusti dei lettori erano mutati e i suoi romanzi non incontravano più il favore del pubblico. Continuò però a scrivere regolarmente sul Gazzettino. Nel 1991 – prosegue Zamburlin – durante la prima edizione della “Festa della scrittura ardente” la Casa Editrice Eidos e il Coordinamento Giornaliste del Veneto Claudia Basso la festeggia come decana delle giornaliste italiane, prima donna iscritta come professionista all’Albo dei Giornalisti nel luglio del 1929. Morì l’8 gennaio 1993. I funerali si svolsero in forma strettamente privata. Nessuno la ricordava più. Lasciò la sua casa in calle Foscari all’Università Ca’ Foscari perché ne facesse una sede per gli studenti. Nel 2002 uscì postumo, per i tipi di Supernova, il romanzo Pietre in fiore, da lei scritto ad Asolo tra il 1965 e il 1966. Il manoscritto fu gentilmente messo a disposizione dal suo esecutore testamentario e amico Franco Scaldaferro e fu pubblicato grazie al contributo dell’Ateneo veneziano».