I Papi del Novecento riletti attraverso lo studio della loro scrittura, agganciando la ricerca e l’analisi storico-ecclesiale alla scienza della grafologia che si concentra sui segni ricorrenti incisi lungo le pagine per ricavarne i tratti essenziali della personalità e coglierne, talora, i mutamenti nel tempo e nell’avvicendarsi di impegni, avvenimenti e cariche.
Si intitola “Scrivere (nel)la storia. Uno sguardo ai papi del XX secolo attraverso le loro grafie” (Graphe.it Edizioni 2024 – euro 15,90) il libro della veneta Lidia Fogarolo – laureata in psicologia ed esperta grafologa, docente e consulente in tale ambito – che, dopo un profilo biografico essenziale di ciascun Pontefice, si immerge tra linee sinuose, pendenti, contorti o intozzate, ricci, gli avviluppamenti e aste rette (tutti termini tecnici della grafologia) per cogliere aspetti ulteriori della loro personalità. Ecco cosa afferma, tra l’altro, sui Papi del XX secolo giunti al soglio di Pietro dopo essere stati Patriarchi di Venezia.
Di Giuseppe Melchiorre Sarto, Pio X, emerge il carattere sostanzialmente “stabile” della personalità lungo gli anni. Per Lidia Fogarolo il suo scrivere «non cambia» praticamente mai e questo testimonia che lo stress e le preoccupazioni del pontificato «non hanno intaccato la sua impostazione di fondo, quella visibile fin dagli esordi quando era un amato parroco di campagna. L’unico periodo in cui la scrittura mostra segni visibili di sofferenza è nel 1903, prima e dopo la sua elezione al soglio pontificio». I segni grafici evidenziano «capacità di penetrazione psicologica, tendenza ad osservare persone e fatti ponendosi da più punti di vista per meglio abbracciare ciò che era di suo interesse. Pio X, proprio a causa delle sue capacità empatiche, era un uomo che anticipava il valore attribuito oggi all’intelligenza emotiva, che in lui raggiungeva valori piuttosto elevati. La scrittura mostra come fosse un uomo più “moderno” dei suoi predecessori». E aggiunge che la personalità di Sarto «complessa, solitamente calma, benevola, controllata, accogliente, aveva le risorse per assumere, se ne vedeva la necessità stringente, atteggiamenti basati sull’inflessibilità e sulla reattività aggressiva». I suoi scritti mostrano così un altro aspetto: «una volontà che poteva dimostrarsi aggressiva e intransigente se messa in situazione di grave pericolo».
Di Angelo Giovanni Roncalli, Giovanni XXIII, colpisce soprattutto «la ricerca di essenzialità, la scrittura sobria ed elegante, specialmente se rapportata all’epoca in cui erano ancora molto apprezzati gli elementi di accuratezza grafica: le lettere sono ridotte ai minimi termini, a volte talmente semplificate da essere riconoscibili solo dal contesto». C’erano però due eccezioni: alcuni frequenti ricci a fine parola (una sorta di accartocciamento) e gli intrecci che riguardano alcune lettere; per Fogarolo è «una forma di tutela dell’Io dal rischio di un’invasione dall’esterno». Dalle sue linee grafiche emerge una spiccata forma di disponibilità all’ascolto; non a caso amava fare riferimento ad un passo di Isaia (54,2) che dice: “Allarga lo spazio della tua tenda”. E ciò si accresce col passare degli anni mostrando generosamente e sempre più, sostiene l’autrice, «un’apertura di cuore e un sentimento dominante di compassione. Sapeva presentarsi nei contesti più difficili in apertura, ma nello stesso tempo mantenendo quella fermezza priva di oscillazioni interiori, attingendo a un’inflessibilità nei principi essenziali che, se non rispettati, suscitavano un sentimento di rifiuto interiore piuttosto violento, anche se lo mimetizzava grazie a quel controllo derivante dalla calma che si imponeva. Tuttavia, se forzato, assumeva un atteggiamento di opposizione e contrasto. Lo sapeva bene il suo segretario che aveva avuto modo di constatare più volte che, se qualcuno lo sollecitava a fare qualcosa, rivendicava la sua autonomia facendo il contrario…».
Quanto ad Albino Luciani, Giovanni Paolo I, la sua è «una scrittura di notevole impatto psicologico per la ricchezza delle doti sostanziali che emergono, unite alla capacità di cavalcarle attingendo alla spontaneità espressiva: non c’è mai nessun oscuramento del suo pensiero e del suo sentimento, nessuna difesa di personalità, nessuna presa di distanza dal suo nucleo interiore per cui non può essere che quello che è. Potrebbe essere una scrittura da manuale in quanto permette di esemplificare che cosa significa possedere qualità sostanziali dell’intelligenza e del sentimento ben armonizzate tra loro». Secondo Lidia Fogarolo per Luciani «i fatti contano e non può l’uomo pensare di rifugiarsi solo nel suo pensiero, per quanto elevato esso sia» e questo lo portava ad un confronto rigoroso, quasi un braccio di ferro, con la realtà. E osserva ancora: «Da una parte un sentimento fortemente portato alla penetrazione psicologica, dall’altra una mente ponderata e ragionatrice, desiderosa di collegare tutte le intuizioni originali in una visione teorica unitaria di grande respiro. L’uso delle aste rette e dei numerosi angoli appuntiti fanno sì che l’insieme caratterizzi un uomo di azione, che necessita di una visione focalizzata carica di energia non conciliativa. L’insistere troppo sul sorriso, sulla calma, sulla mitezza, è del tutto fuorviante rispetto alle doti esibite. Giovanni Paolo I era pronto a scendere in campo e a combattere come un vero guerriero: questo dice la scrittura».
Alessandro Polet