Al pari di un personaggio manzoniano, don Lorenzo Milani si è originalmente impadronito dell’idea di sacerdozio e di Chiesa uscita dal Concilio di Trento, che egli rivisita dall’interno con radicalità evangelica e “rivoluzionaria”, rifiutando quel compromesso col mondo che è invece emerso da certune applicazioni del Vaticano II.
Il centenario della nascita di don Milani – che ricorre il 27 maggio – sta vedendo un’ampia serie di pubblicazioni e di iniziative per ricordare la figura di uno dei preti più amati ma anche più criticati della Chiesa italiana del Novecento. Da ciò il nuovo studio e la tesi originale di Giuseppe Fornari, docente di Storia della Filosofia all’Università di Verona, autore del libro “Al prete ignoto: L’ecclesiologia implicita di don Lorenzo Milani” edito per i tipi di Edizioni Studium 2023.
L’impostazione del lavoro di Fornari, che ha la leggibilità di un romanzo e lo spessore dei testi di filosofia, è semplice: dare la precedenza assoluta all’unica vera identità che Lorenzo Milani abbia voluto far sua, quella del sacerdote, anzi del prete come lui amava dire.
Professore, qual è stata la motivazione principale alla base del libro e come potrebbe esserne definito l’approccio?
La motivazione che mi ha spinto a scrivere il libro è la lunga frequentazione degli scritti di don Milani, che non sono semplici scritti, sono testimonianze coincidenti con la sua vita e con le sue scelte. Nello stesso tempo, continuava ad esserci nella sua figura e nelle sue parole qualcosa di problematico, anzi di irritante, che sembrava togliere pacificazione e serenità alla sua figura di sacerdote e di educatore, e che mi ostacolava il lavoro più ampio che da anni avevo in animo di dedicargli. Io capisco le ragioni sia dei suoi agiografi che dei suoi detrattori, non nel senso che ne condivida le letture e le posizioni, ma nel senso che è don Lorenzo a fornire appigli a queste semplificazioni simmetriche e opposte. Durante le riflessioni che hanno preceduto il mio libro ho alla fine compreso che la soluzione sta nel mantenere entrambi gli aspetti, quello affascinante e quello sgradevole, perché entrambi sono espressione della vita e della vocazione di questo irriducibile lottatore. Difficile trovare un personaggio meno amabile e più pieno di amore, ed è questo un autentico insegnamento.
Che rapporto c’è tra la condizione di don Lorenzo come “prete difficile” e la riconduzione al modello ecclesiale del Concilio di Trento?
Questa è stata la chiave di volta della mia interpretazione, ossia il constatare che, sotto il profilo storico e banalmente cronologico, don Milani è il figlio della Chiesa precedente al Concilio Vaticano II, della Chiesa uscita dal Concilio di Trento. Vale a dire della Chiesa che si è definita come cittadella di Dio assediata dai suoi nemici e che ha riaffermato se stessa approfondendo le motivazioni del suo mandato e della sua esistenza. Una risposta che ha assicurato alla Chiesa di Roma circa due secoli di straordinario rilancio, ma che nell’Ottocento, dopo gli sconvolgimenti operati dalla Rivoluzione francese, l’ha condotta a un ruolo sempre più marginale. Questo è il percorso “difficile” della Chiesa contemporanea, un percorso di marginalizzazione e indebolimento, che però è anche la sua più nascosta risorsa. Le sconfitte possono essere l’occasione decisiva per ottenere vittorie di altro genere, al prezzo tutto sommato modesto della mortificazione di sé.
Perché lei definisce l’epistolario di don Milani come uno dei suoi lasciti più preziosi? E quali ne sono i momenti più significativi?
Il suo epistolario non è una raccolta di lettere, è una miniera d’oro, un tesoro di valore inestimabile. Davanti alla sua ricchezza di idee, di intuizioni penetranti e infallibili, di provocazioni spontanee e insieme calcolate mi sono sentito quasi travolto. Se avessi dovuto commentare tutte le lettere piene, pienissime di idee semplici quanto geniali avrei dovuto scrivere un libro di 2000 pagine e non di 200. La mia scelta è stata di selezionare le lettere a mio parere più scomode e urtanti, e specialmente quelle in cui don Lorenzo si sfoga con i suoi amici più intimi, il suo padre spirituale don Bensi, al quale non si potrà mai essere abbastanza grati per l’umiltà con cui ha seguito l’anima di questo sacerdote straordinario, e Giorgio Pecorini, il giornalista di idee tutt’altro che religiose che è rimasto conquistato da questa personalità imprevedibile, diventando dopo la morte l’amorevole ricercatore e custode di tutti i documenti e le testimonianze che lo riguardavano. La fede di don Milani brilla di luce purissima proprio nei momenti più bui, più disperati, che ho cercato di valorizzare nella loro portata cristologica. Non ho aggiunto nulla, mi sono solo messo da parte per far parlare lui, il prete intrattabile e fastidioso innamorato di Cristo e dei suoi piccoli adottati nel nome di Cristo.
In che modo il suo libro intende presentare don Milani come una figura fresca e sorprendente, irriducibile alle sue interpretazioni più convenzionali?
Don Milani è ancora tutto da scoprire. Per questo ho messo da parte tutti i discorsi sulla sua figura di educatore e sui rapporti con i suoi allievi. Non perché non siano importanti, esattamente il contrario. Sono importanti, come è importante nella vita di ciascuno di noi l’amore. Il che non significa che ci mettiamo a proclamare ai quattro venti quali sono le persone che amiamo e perché le amiamo. C’è in gioco dell’altro, ed è la comprensione spirituale e intellettuale di quali siano le ragioni per amare, di quale sia la razionalità più che umana che è interna all’amore. Cosa c’è di più classicamente cristiano e di più fresco e sorprendente?
Quali insegnamenti possiamo trarre dalla vita e dall’impegno di don Milani come prete?
Don Milani è un prete del passato, che va riconosciuto nelle sue specificità storiche e che va amato anche nei suoi difetti, nella sua parzialità viscerale, nel suo istinto polemico, nel suo parlare a muso duro senza guardare in faccia a nessuno. Oserei dire che non è un prete per l’oggi, vale a dire per anni dominati dalla banalità e dai luoghi comuni, dalle cose ripetute per sentito dire e per conformismo, dall’appiattimento della parola e delle coscienze. Ma è un prete per il futuro, perché solo il futuro ci dirà quanto c’è ancora bisogno di lui.
Giuseppe Antonio Valletta