Per preservare le sue foreste, essenziali per gli usi civili e militari della Repubblica, Venezia mise in atto pratiche di buona gestione del territorio con un approccio pragmatico che sembra quasi avvicinarsi alla nostra attuale sensibilità ambientalista. Pio Baissero, già docente in Istituti Tecnici e all’Università degli Studi di Udine, nel suo ultimo libro “L’oro di Venezia. La Serenissima e le sue foreste un viaggio alle radici della storia veneziana” edito nel 2022 per i tipi Itinera Progetti, illustra nel dettaglio gli aspetti storici ed economici legati allo sfruttamento boschivo e alla lavorazione del legno nei domini veneziani nel Cinquecento e nel Seicento.
Professore, quali le pratiche di buona gestione del territorio messe in atto dalla Repubblica di Venezia per preservare i suoi boschi e quali i legni considerati più interessanti?
Sostanzialmente due: la prima derivava dall’esistenza di una buona e capillare amministrazione, capace non solo di approvare leggi efficaci, le cosiddette “terminazioni ducali”, ma anche di applicarle e farle rispettare con l’azione diuturna, severa, dei Provveditori “Alle Legne e ai Boschi”. La seconda era data dall’esistenza di un cospicuo numero di lavoratori adatti alla coltivazione dei boschi. Dietro allo sfruttamento forestale esisteva infatti un articolato universo antropico – boscaioli, braccianti, contadini, zattieri e via dicendo – che la Serenissima, con le buone o con le cattive, riusciva a far funzionare alla perfezione. Quasi tutte le essenze arboree erano utili alla lavorazione civile e militare operante a Venezia ed intorno ad esse operavano soprattutto i “marangoni”, cioè i falegnami che costituivano la classe per così dire “operaia” più numerosa in città. Però, tra gli alberi, alcuni erano assai più richiesti di altri per qualità, facilità di lavorazione e resistenza ai fattori atmosferici e marini: ad esempio il legno di quercia e di olmo, il frassino, l’abete e il larice.
L’approccio della Repubblica di Venezia alla salvaguardia del territorio potrebbe essere un esempio per le pratiche di gestione ambientale attuali?
Solo in parte. Ai tempi della Serenissima non esisteva la visione ambientalista che conosciamo oggi. Tuttavia tra il Cinquecento e il Seicento si era fatta strada la convinzione che la forsennata deforestazione non avrebbe portato nulla di buono: senza alberi non ci sarebbe stato più legno e la civiltà si sarebbe arenata nella miseria e nel freddo. Per non dire che non si sarebbero più potute costruire le galee, cioè le navi da guerra. Da qui l’idea della conservazione dei boschi proprio per conservare la Repubblica e la sua forza. In più si diffusero metodi innovativi di coltivazione, mantenimento e crescita delle piante. Con risultati sorprendenti per quei tempi.
In che modo i boschi delle regioni venete, friulane e istriane hanno contribuito alla costruzione navale della Repubblica di Venezia?
In teoria ogni albero “buono”, cioè alto e frondoso, poteva essere requisito – in nome del Consiglio dei Dieci – per le necessità militari del momento. In realtà la Serenissima, nei suoi territori, aveva messo gli occhi, censito e amministrato solo alcune foreste ritenute, a ragione, le più adatte – per qualità e ricchezza arborea – allo sfruttamento ai fini delle costruzioni navali. Erano le selve che le leggi “boschiere” avevano classificato come demaniali di prima classe. Di fatto venivano gestite direttamente dalla Casa dell’Arsenale nel sestiere “Casteo” di Venezia. Da esse proveniva il legname più pregiato e adatto alla lavorazione cantieristica. Si trattava dei boschi del Cadore, di Somadida, dell’Alpago, del Montello, del Cansiglio e della Val di Montona in Istria. Questi boschi esistono, pur ridotti nella maestosità e nella dimensione, ancora oggi.
Quanto questo commercio influenzava l’economia della Repubblica di Venezia?
Il surplus di legno, qualora si fosse verificato (e non avveniva di frequente), andava talvolta esportato verso lo Stato Pontificio o i possedimenti controllati dalla Spagna in Italia meridionale. Per il trasporto via Adriatico ci si serviva di burci “da mar” di non grande stazza, tanto che non si potevano trasportare tronchi ma semilavorati, cioè tavolame e pali di dimensioni modeste. Le esportazioni veneziane erano infatti prevalentemente costituite da merci pregiate più che da materie prime come, appunto, il legno.
Come è evoluto il rapporto tra la Repubblica di Venezia e i suoi possedimenti di terra nel corso dei secoli?
Semplificando un po’ tempi e metodi di durata secolare, la Serenissima ha attraversato due periodi, il primo del quale è stato quello dello “Stato da mar”, vale a dire della grande politica essenzialmente marittima e commerciale che ne aveva assicurato la potenza. Poi, con la scoperta delle Americhe e l’emergere di nuove potenze in Europa, erano iniziate l’emarginazione e la lenta decadenza della città-stato. Un passaggio segnato però anche dalla riscoperta della terraferma dove non c’era solo da costruire ville e parchi per la nobiltà della città ducale. Lo sviluppo della silvicoltura e la lotta contro l’impaludamento delle campagne erano gradualmente diventate le priorità per Venezia.
Quali sono state le fonti principali utilizzate per la ricerca storica del libro? Cos’è rimasto di quei saperi oggi?
Oltre alla consultazione di testi trovati su libri, riviste e giornali, la mia è stata una ricerca su alcune importanti fonti documentali quasi sconosciute ma di notevole valore storico, tutte custodite presso l’Archivio di Stato di Venezia. È stata una ricerca che avevo iniziato più di dieci anni fa, ma che si è perfezionata in occasione della consulenza che mi è stata richiesta, nel 2021, per la produzione di un film documentario da parte della Casa Cinematografica Venice Film di Padova. Il documentario porta il titolo del libro, cioè “L’Oro di Venezia”, ed è stato presentato alla fine dello scorso anno sul canale televisivo “History Channel”, anche negli Stati Uniti. Per quel che riguarda i “Saperi” boschivi praticati un tempo nella Repubblica di San Marco, si può dire che di essi nulla è rimasto essendo del tutto cambiate rispetto ai secoli scorsi, come noto, società ed esigenze tecnologiche. Tuttavia occorre ricordare che proprio Venezia è stata la prima, in Europa e nel mondo, ad inventare quel ramo del sapere che oggi si chiama “scienza forestale”. Un primato di non poco conto.
Giuseppe Antonio Valletta