Non c’è nulla di più potente del ricordo, di una memoria tenuta viva nel tempo affinché gli orrori del passato ci rammentino a cosa la via del Male possa portare. Ed è proprio attraverso il ricordo dei bambini vittime della Shoah che l’artista israeliana Patricia Shira Mano Tolentino ha voluto celebrare la Giornata della Memoria 2020. Dando vita cioè ad una serie di dipinti che, ispirati ai ritratti dei bimbi presenti nello Yad Vashem di Gerusalemme e accompagnati dalle poesie di Rosalia Ramirez ad essi collegate, vogliono raccontare ciò che è stato e che non dovrà più essere. Volti di giovani vittime indifese, probabilmente inconsapevoli del tragico destino che sarebbe loro toccato, alcuni dei quali sfigurati – rispetto all’immagine di partenza – dalla sofferenza, tanto da aver perso la loro freschezza e spensieratezza tipica dell’età. Mentre altri velati di tristezza, angoscia e paura. Attraverso la sua “Niñez rubata”, Tolentino ha trasferito sulla tela tutto questo. Una mostra che sarà visitabile al pubblico fino al 4 febbraio presso lo spazio Magazzino Gallery di Palazzo Contarini Polignac, ai piedi del ponte dell’Accademia, e spinta dalla visione delle foto delle vittime della Shoah del ghetto di Varsavia.
«Mi è venuta l’idea di creare un muro composto di ritratti ad olio proprio sul ghetto in questione, ispirato all’opera dell’artista francese Christian Boltansky. Questo progetto riguarda la memoria, proponendosi di combattere la caduta nell’oblio e nell’antisemitismo», racconta l’artista che ieri ha presentato il catalogo dell’esposizione – a cura di Roberta Semeraro e sostenuta da Iris Peynado, vicepresidente di Ro.Sa.M – al Museo ebraico di Venezia. «L’arte ha una grande capacità: quella di sensibilizzare la gente – il commento di Semeraro – L’aspetto bello è che mentre Patricia dipingeva, dall’altra parte del mondo la poetessa componeva dei versi che seguivano l’andamento della sua pittura. Ricordare degli eventi dolorosi è un dovere per ciascuno di noi e l’arte è un linguaggio potentissimo che può parlare a tutte le fasce d’età». Tra gli ospiti, anche Lia Finzi Federici, testimone ed autrice di “Dal buio alla luce”, che ha condiviso i suoi ricordi sottolineando come questi ultimi siano un obbligo. «Perché la Shoah – spiega – vive proprio grazie al ricordo. Ecco spiegata la funzione delle pietre d’inciampo, affinché la gente abbia sempre presente chi non c’è più». E quest’anno sarà posta in città anche quella in memoria del più piccolo ebreo veneziano deportato, tra i 248 della città lagunare: Leo Mariani, di soli 2 mesi. «Nel ‘38 noi bambini ebrei siamo stati cacciati dalla scuola perché considerati diversi. Poi, nel ‘43, la tragedia: un annuncio alla radio diceva che tutti gli ebrei sarebbero stati portati in appositi campi. La mia storia? In quegli anni ho perso parenti, amici, compagni di scuola. Il ritorno non fu facile ma più grandi sono state la mia voglia di vivere e la volontà di andare avanti, riprendendo gli studi perduti e parlando dell’esperienza vissuta».
Marta Gasparon