«Bellezza, arte, multiculturalità, accoglienza e fede costituiscono da sempre la cifra di Venezia. E le cappelle che oggi abbiamo il piacere di visitare s’inseriscono perfettamente nel contesto dell’isola di San Giorgio e, in essa, nel peculiare, fragilissimo e unico ambiente lagunare».
Lo sottolinea il Patriarca Moraglia intervenendo, nel pomeriggio di venerdì 25, all’inaugurazione del Padiglione della Santa Sede alla Biennale Architettura di Venezia. Il Vaticano propone un Padiglione immerso nel bosco dell’isola di San Giorgio Maggiore, all’interno della Fondazione Cini. Qui sono state dislocate dieci cappelle, progettate da altrettanti architetti, di provenienza e fede diverse, che si sono ispirati nelle loro opere alla “Cappella del Bosco” di Gunnar Asplud, costruita nel 1920 nel cimitero di Stoccolma.
«Rifacendosi all’idea della “Cappella nel bosco” – prosegue mons. Moraglia – il Padiglione propone una comunità in dialogo spirituale che prega in un contesto pienamente integrato con la natura. Venezia risponde bene a tale dialogo e itinerario spirituale fra le sue chiese, immersa com’è, in modo unico, nella bellezza del suo habitat unico e irripetibile. Venezia è, insieme, opera di Dio e dell’uomo».
Per le Vatican Chapels sono stati impiegati materiali diversi, tutti riciclabili e smontabili come ceramica, calcestruzzo leggero e armato, acciaio, legno. Ai 10 architetti – Andrew Berman, Francesco Cellini, Javier Corvalàn Espínola, Ricardo Flores & Eva Prats, Norman Foster, Terunobu Fujimori, Sean Godsell, Carla Juaçaba, Smiljan Radic Clarke, Eduardo Souto de Moura – sono state date inoltre delle regole di dimensione, disposizione, riproduzione di oggetti, ma soprattutto è stata consegnata la sfida di inserire questi piccoli spazi sacri all’interno del bosco, emblema di una natura benevola che riconcilia lo spirito.
Emblema, appunto: «Il progetto “Cappella nel bosco” – conferma il Patriarca – ci ricorda come l’edificio-chiesa non sia solo uno spazio funzionale, ma un luogo simbolico dell’incontro con Dio».
L’architettura sacra, custodendo il linguaggio simbolico, «deve opporsi ad ogni deriva iconoclasta», ha rimarcato mons. Moraglia: «Quando si abita la Parola e si pratica il linguaggio sacramentale, si giunge alla contemplazione di Dio e così la percezione di Dio nella storia si esprime in immagini, spazi e possibilità artistiche nuove, tanto da rendere visibile il “Mistero cristiano” a partire da quello dell’Incarnazione. Percepire il simbolo è essenziale per la comunità religiosa e civile; il simbolo, infatti, rimanda a quanto va oltre ogni tipo di funzionalismo e, insieme, dice la capacità di elevarsi a un Oltre che svela l’uomo all’uomo».
Tanto da poter dire, conclude il Patriarca Francesco citando uno degli autori più amati e letti del Novecento, Hermann Hesse, che “Arte significa: dentro a ogni cosa mostrare Dio”.