Li trascina nei posti che più odiano e, lì, li fa recitare: le lavanderie a gettoni e i negozi di caramelle che stanno invadendo la loro Venezia d’infanzia, gli alberghi colmi di quel fiume di turisti che esonda a Rialto, a San Marco e nei loro vaporetti.
Ma li porta anche sui palcoscenici di campi, fondamenta e campielli. Poi in carcere, nelle botteghe storiche, nei musei civici. Adesso per gli “anziani attori veneziani” di Mattia Berto è tempo di palcoscenico in casa.
I veneziani? Dei burberi perfetti per Goldoni. E gli ultrasettantenni del centro storico, si sa, non sono facili da sciogliere, di temperamento ne hanno da vendere: «Alle volte hanno questo fare da veri goldoniani burberi, è vero», sorride il regista Berto, che si è inventato i laboratori teatrali per loro per conto del teatro Stabile del Veneto.
«Sono figli – riprende a spiegare – di quest’isola. Spesso si crogiolano dentro la sua bellezza e, a volte, questa è stata la loro, la nostra, condanna. Ma nella mia esperienza sugli anziani a teatro in realtà ho notato solo delle rigidità iniziali, dovute al fatto di avere una certa età, di dire “adesso mi metto in gioco”, di travestirsi, di andare in scena portando la propria biografia. Devono convivere con solitudini, lutti e un corpo che cambia. Il teatro sa sciogliere questi nodi e diventa palestra».
Il laboratorio con gli “over”, scrigno di saggezza. Loro sono già in venti. Veneziani del centro storico più due mestrini. Ma il laboratorio tiene aperte le iscrizioni per tutto gennaio, con la prossima performance già annunciata per il 22 febbraio e il gran finale del 31 maggio, al Goldoni. «Sarà il ritorno a casa, ad Itaca, che metterà in dialogo le generazioni».
Ci saranno anche i giovanissimi dai 25 anni in giù del primo laboratorio. Più il secondo, quello dai 25 ai 70 anni d’età, che è già overbooking con una quarantina di iscritti. E il terzo con gli “over”. «Trovo sia incredibile quanto una persona anziana possa dire tutto, anche in questa circostanza, con la sua saggezza. Esiste ormai una quarta età che ha una grande vitalità».
Quest’anno la prima performance è stata a casa Rubelli, i lussuosi tessitori veneziani. Si fa “teatro in casa”, dei veneziani, lavorando sull’Odissea: «Non contento, dopo botteghe, piazze, carceri, musei e teatro Goldoni, adesso voglio abitare le case: chiedo ai veneziani di aprire le porte delle loro abitazioni per farle diventare palcoscenici. L’esigenza è quella di trovare un senso forte di appartenenza al territorio».
«Non è una scuola per attori ma per persone». Il nome tecnico è teatro di cittadinanza, un teatro di comunità i cui protagonisti sono i veneziani della porta accanto, senza alcuna velleità artistica. Lo fanno per riflettere attraverso gli strumenti del teatro sui cambiamenti della nostra città. «Non è una scuola per attori ma per persone che non fanno questo mestiere. Il mio obiettivo è diverso rispetto a quando lavoro con gli attori. Diventa un dono reciproco tra me e loro. C’è un lavoro di gruppo, di scrittura a partire da una riflessione. Poi si costruisce l’azione, ogni volta diversa. Quello che viene fuori dal laboratorio lo faccio diventare spettacolo, dandogli dignità scenica. Lo spettatore è direttamente coinvolto: parole, suoni, azioni corali».
Storie in hotel, si replica. Dai 10 ai 30 minuti per ogni rappresentazione: «L’anno scorso ho chiesto loro di raccontare le loro storie all’interno degli alberghi, ho lanciato la provocazione ai veneziani di raccontare se stessi alle persone che vivono questa città di passaggio». Ed è andata bene, tanto che quest’anno si replica in casa dei vicini.
Giulia Busetto