«Cercare segni, tracce, testimonianze dell’antichità classica a Venezia potrebbe sembrare assurdo, dato che la città ha ben pochi edifici anteriori al mille.
Eppure, nel cuore di Venezia è custodito un eccezionale documento per la toponomastica locale che testimonia l’antichità del nome di Mestre e pare risalire addirittura al I secolo d.C.
Si tratta di una lapide per nulla spettacolare, che si trova vicino alla porta d’acqua di Ca’ Soranzo – tra Calle Larga S. Marco e la Casselleria – e affiora solo quando la marea è molto bassa, come in questi giorni», racconta Paolo Borgonovi, del Centro studi storici di Mestre.
Nelle terre dei Mestri. «La lapide è coperta di alghe ed è difficile decifrare l’epigrafe racchiusa fra due colonnine. Ma vale la pena prenderla in considerazione per il nome che vi è scritto: si tratta di Tito Mestrio Logismo, un liberto della famiglia Mestria. Se diamo al termine Logismo, di derivazione greca, il significato professionale di contabile, potremmo ipotizzare che il Tito Mestrio di cui si fa menzione fosse l’amministratore dei beni dei Mestri e, chissà, magari proprio di quel fondo agricolo che, occupando vaste zone nella terraferma, finì col dare il nome di Mestre al territorio e poi alla nostra città».
È una storia parecchio curiosa, quella raccontata da Borgonovi, che fa supporre che nella lapide più antica di Venezia, per uno strano scherzo del destino, si citi Mestre. «Già oltre un secolo fa il Tassini, nel libro Curiosità veneziane, edito nel 1863, affermava che la lapide era ‘quasi tutta corrotta dal tempo’ e doveva appartenere all’epoca dell’imperatore Domiziano. Peccato che l’iscrizione nella lapide se ne stia andando un po’ alla volta».
Ipotesi affascinante, quella di questa possibile etimologia del nome di Mestre, che fa risalire i natali della città a una famiglia importante, quella dei Mestri, che vantava anche esponenti illustri. «Plutarco, famoso storico e biografo greco, quando diventò cittadino romano, acquisì il nomen Mestrio, in omaggio all’amico Lucio Mestrio. Il suo nome completo in latino, infatti, era ‘Plutarchus Mestrius’», ricorda Borgonovi. «Quel che è certo è che il nome di Mestre è molto antico».
La storia è in alto, non in basso. Borgonovi ci tiene a spiegare quanto sia importante, per ricercare resti archeologici a Venezia, non guardare in basso ma in alto: alle facciate di chiese, palazzi, vecchie case. Perché fra stemmi nobiliari, formelle bizantine, patere medievali, non è difficile trovare testimonianze in pietra dell’epoca classica, di quella civiltà che avrebbe dato origine alla nostra Venezia. «Sono i muri e non il suolo a lasciar trasparire le pietre dell’epoca romana, perché con queste è cominciata la costruzione della città. Quando Altino, l’antica città veneto-romana, venne progressivamente abbandonata, i profughi, per costruirne una nuova sul fango e la sabbia della laguna, recuperarono quanto più possibile da quel centro ormai deserto per innalzare mura, poi per abbellirle rivestendole di marmo e infine per esibire statue, iscrizioni, ornamenti, nelle collezioni che le famiglie patrizie andavano formando».
Insomma, una passeggiata a Venezia col naso all’insù, assicura Borgonovi, dà la possibilità di scoprire una imprevedibile Venezia romana, che ci riporta alla sua strettissima parentela con la città madre, Altino, che è stata letteralmente smontata per costruire la città lagunare.
«Venezia è piena di materiale che veniva commerciato da Altino e da altri luoghi per essere riutilizzato in edilizia, a volte anche marmi già incisi, come la lapide di Ca’ Soranzo. Ma non solo. A Santa Maria Formosa, ad esempio, troviamo una simile iscrizione funeraria presso il Ponte dei Preti. In zona Madonna dell’Orto un’ara cilindrica romana si trova all’estremità sinistra del primo piano di Palazzo Mastelli (quello col cammello) e fa da colonna d’angolo fra due finestre: si tratta di un manufatto particolarmente diffuso nelle necropoli di Altino».
I fratelli Rioba, che poggiano i piedi su Roma. O, ancora, a pochi passi, nella Fondamenta dei Mori, «ci troviamo davanti alle statue che, tradizionalmente, raffigurano i fratelli Rioba, Sandi e Alfani nelle loro vesti orientali: ebbene, le due figure sulla fondamenta poggiano anch’esse su arette cilindriche romane. E di esempi come questi ne potrei portare tantissimi, disseminati a Venezia, sulle isole e anche nella terraferma mestrina».
Valentina Pinton