Quando e perché il palazzo, che oggi ospita il Museo di Storia Naturale Giancarlo Ligabue, venne chiamato Fontego dei Turchi? Lo hanno fatto scoprire, giovedì 16 marzo, la dottoressa Vera Costantini e il dottor Petar Strunje nella conferenza organizzata dal Museo di Storia Naturale dal titolo “Venezia, Spalato e l’istituzione del Fontego dei Turchi”.
È un palazzo che veneziani e non conoscono per essere uno dei primi che si incontra sul Canal Grande nel percorso della linea di navigazione 1 e 2 che dalla Stazione o Piazzale Roma porta a San Marco. Dirimpetto alla chiesa di San Marcuola, la sua facciata con il caratteristico spazio libero coperto sulla riva per lo scarico delle merci, risulta ancor più singolare per quella canoa di tipo aborigeno che ci fa subito capire il cambio d’uso che questa struttura ha avuto nel tempo.
Vera Costantini, docente di lingue orientali – turco nello specifico – all’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha introdotto la prima conferenza che dà inizio ai festeggiamenti per il centenario dalla fondazione del Museo intitolato a Giancarlo Ligabue. Il termine “fontego” traslato dalla lingua greca “pandokéion” e poi bizantina “fùndax” arriva nella Venezia multiculturale commerciale affiancata alla specificazione “dei Turchi” dopo il Cinquecento.
«Le case-fondaco, spesso private – spiega la docente in una sala conferenze gremita di persone – sono conosciute a Venezia sin dal 1170 – 1220, come attestano gli studi di Ennio Concina, con peculiarità diverse come quello dei Todeschi, cioè appartenenti a una nazione o per un tipo particolare di mercanzia, come ad esempio quello delle biave o delle farine».
Come mai il Fontego dei Turchi è stato assegnato alla nazione turco ottomana dalla Repubblica di Venezia solo nel 1621, cioè a partire dal XVII secolo?
La ricerca d’archivio e lo studio del cambiamento dell’assetto commerciale dell’epoca hanno fatto da supporto per una spiegazione degli interessi commerciali e delle lungimiranti decisioni politiche che hanno condotto le magistrature veneziane a tale decisione in quel periodo storico. I veneziani già commerciavano con le popolazioni orientali, ne conoscevano e apprezzavano i prodotti, ma come attesta un documento del 1302 erano i turchi stessi a fare da mediatori delle loro mercanzie e non avevano bisogno di risiedere o di portare direttamente le merci a Venezia.
La concorrenza inglese e olandese divenuta più competitiva dopo la perdita di Cipro orientò la classe dirigente veneziana, dopo il 1574 e la pace separata tra Repubblica di Venezia e l’Impero Ottomano a seguito della battaglia di Lepanto, a riprendere i contatti commerciali ideando una nuova rotta commerciale dove Spalato fungesse da “nuovo” scalo. Un progetto “segreto” e “nuovo” dove quel nuovo perdesse l’accezione negativa che aveva in quel periodo. Come attesta un documento del 1588 la magistratura dei V Savi alla Mercanzia offriva ai mercanti della parte orientale del Mediterraneo la possibilità di trovare nella città di Spalato un porto franco, in regime di monopolio, con possibilità di scorta, per transitare le merci dall’Anatolia, Afganisthan e Persia al mercato veneziano. Una grande arteria transnazionale dunque che dalla fine del Cinquecento a tutto il Seicento vide mercanti musulmani, provenienti da tutto l’entroterra balcanico fino all’Anatolia, arrivare a Spalato per poi imbarcarsi per Venezia. Divenne allora una necessità offrire un luogo a Venezia ove i mercanti turchi ottomani potessero trovare alloggio per se stessi e per le loro merci.
“Ottomano”: la linguista specifica il termine per una miglior comprensione della complessità che questa parola racchiude. «L’Impero Ottomano era un grande Impero transnazionale nel quale trovavano posto moltissime altre religioni oltre a quella islamica. Oltretutto, anche all’interno di quella islamica erano percepibili molte divisioni interne». Non soltanto tra sunniti e sciiti ma anche all’interno delle stesse comunità sunnite vi erano differenze, come per quelle di provenienza anatolica che avevano impostazioni e costumi rituali diversi da quelli dei musulmani di origine bosniaca.
Qui si inserisce l’intervento di Petar Strunje, assegnista dell’Università di Venezia che nella descrizione architettonica del Palazzo si è assunto il compito di illustrare gli spazi dei luoghi che permisero una vita quotidiana consona agli usi dei mercanti turchi ottomani: vale, per esempio, per il bisogno d’acqua all’interno per le abluzioni religiose e cotture di cibo Alal.
Luca Mizzan, responsabile del Museo di Storia Naturale di Venezia, alla fine della conferenza ha ricordato che il 30 giugno dalle 18.30 alle 22, il Fontego dei Turchi rivivrà con l’iniziativa “Il fontego delle erbe. Dalla Bosnia ottomana, piante e ricette di felicità” dove si potranno comprare e assaggiare erbe e spezie provenienti dalla Bosnia. Per tutti gli altri appuntamenti del centenario del Museo si inquadri il QR code.
Maria Giovanna Romanelli