È come se Giacomo avesse deciso che era ora di prendere uno di quei piumini che servono per spolverare. Perché è giunto il tempo di togliere la polvere da una parola su cui, soprattutto oggi, se ne sta depositando tanta: l’anima.
Così, temporaneamente senza il sostegno di Aldo e Giovanni, Giacomo Poretti ha scritto il testo “Fare un’anima” e lo sta portando in numerosi teatri italiani. Sabato 26 gennaio è al Toniolo di Mestre.
«Il progetto di questo monologo – spiega Giacomo – mi frulla in testa da quando è nato mio figlio Emanuele. In quell’occasione venne a trovarci in ospedale un anziano sacerdote che mia moglie ed io conoscevamo bene. Si complimentò con noi e ci disse: bene, avete fatto un corpo, ora dovete fare l’anima. Questa frase mi è rimasta dentro per molto tempo, si è sedimentata finché non mi sono deciso ad affrontare la questione».
Lei riporta in auge una parola – l’anima – che per il sentire di oggi non è più di moda e sembra uscita da un corso di storia medievale. Perché l’ha fatto?
Credo che questo sia l’esito di un interesse che si è sviluppato negli anni. La frase del sacerdote ha contribuito in maniera definitiva a farmi andare in quella direzione, perché sembrava fatta apposta. Però è ovvio che è una di quelle domande che è lì da anni, da decenni. Quindi ho trovato il periodo, ho trovato il modo, per poter fare questa esperienza.
Insomma: era una cosa ferma lì, sotto uno strato di polvere. E c’era bisogno di soffiare via la povere…
Sì, e quando si creano le condizioni bisogna approfittarne.
Che cosa la stimola, la sollecita, la elettrizza di più pensando all’anima?
Tutti noi abbiamo dentro queste domande, questa inquietudine. E ognuno, a modo suo, cerca di darsi una risposta. Non ci si può sottrarre a quella domanda lì. Oddio, si può fare tutto, anche trascurarla, però se tu la metti da parte prima o poi salta fuori. Io ne sentivo l’esigenza e l’ho fatto. E per fortuna di mestiere faccio il comico e forse mi è venuto più facile.
Com’è fatta un’anima? Pesa davvero 21 grammi?
Mah, uno può pensare che pesi 21 grammi, che sia impalpabile, che non abbia peso, può pensare liberamente alla forma, alla sostanza… In realtà non mi interessa arrivare ad una conclusione, a una risposta a questa domanda. Mi interessa invece l’inquietudine dell’uomo sollecitata dalla questione dell’anima. La cosa più importante è che uno si ponga il problema e che inizi a frequentare questa parola.
Delle cose dette e scritte in questi mesi da quando mette in scena lo spettacolo, gliene è rimasta impressa una in particolare?
Il pubblico è piacevolmente sorpreso. E molti arrivano a ringraziarmi. È un complimento e un incoraggiamento per una scelta secondo loro coraggiosa.
È un po’ davvero come se avesse tolto la polvere dall’anima…
Esatto, è farsi colpire dall’inquietudine. Solo se uno è inquieto gli viene da domandarsi delle cose. Sono partito come l’uomo moderno medio, che appena sente certe parole, gli sembra di tornare indietro di un millennio. Ma no, dai: nel 2019 non serve avere un’anima, l’importante nel 2019 sono gli algoritmi. Se l’algoritmo di consumo non mi ha mai suggerito l’acquisto di un’anima, vuol dire che non mi è di alcun interesse e utilità.
L’uomo moderno ragiona così…
Sì. Amazon non la vende un’anima.
Quindi?
Quindi parto da lì, dal dire quel che dicono tanti: mai dai, io questa storia dell’anima non la capisco. Quindi si passano in rassegna tutte le cose che colpiscono e affascinano l’uomo d’oggi, e intanto l’anima rimane indietro. L’altra parte dello spettacolo riguarda invece la dimenticanza delle parole. Perché se le parole non vengono frequentate, parlate e scritte, vengono dimenticate.
Cosa vuol dire, secondo lei, l’espressione salvarsi l’anima?
Salvarsi l’anima vuol dire prendersi cura di se stessi. L’anima va intesa come la cosa più preziosa, quella che ti guida, che ti connota. Salvare l’anima vuol dire prendersi cura di se stessi e della propria essenzialità.
Questo nostro tempo ha un’anima?
Ah sì? Ma si dice così?
Una volta lo si diceva…
Ma di questi tempi non più. A me pare che questi nostri siano tempi confusi, inquieti in senso negativo, che nessuno abbia la bussola… Tutti ci domandiamo dove stiamo andando, ma non si parla di un’anima del nostro tempo.
Lei ha detto: il senso della vita è che Dio vuole la gioia. Com’è arrivato a questa conclusione?
Certi pensieri, prima di sedimentarsi hanno bisogno di anni e anni di curiosità, incontri, persone, sensazioni, meditazioni. Sicuramente c’è voluto del tempo. Ma questo, per me, è il risultato.
A proposito di tempo, prendiamo in considerazione chi ancora ne ha vissuto poco: come reagisce un pubblico di teen-agers di fronte al suo spettacolo e al tema dell’anima?
Ci sono anche molti giovani che vengono a vedere lo spettacolo e le reazioni sono spesso di estrema curiosità. Se questo spettacolo ha un pregio è quello di far scaturire curiosità su alcuni temi. D’altronde, nessuno nasce imparato, con la consapevolezza o con la certezza di cosa sia un’anima, a cosa serva e chi ce l’ha data.
Cosa dicono Aldo e Giovanni di questo spettacolo?
Sono venuti a vederlo, gli è piaciuto.
Si sono inquietati? Gli si è accesa la domanda sull’anima?
Non so (ride, ndr): vedremo in futuro.
Giorgio Malavasi