Didattica a distanza bocciata, empatia promossa, nostalgia di normalità a mille per tutti. Gli studenti la pensano così, oggi che hanno terminato un anno scolastico del tutto inconsueto, mai visto nella storia della scuola italiana.
Pochi i vantaggi di lezioni e interrogazioni fatti comunicando tramite uno schermo, parecchi gli svantaggi. Ne sono convinti ragazze e ragazzi della IV B del liceo scientifico “Benedetti” di Venezia. L’occasione per tirare le somme è data da un paio di conversazioni, naturalmente in videoconferenza, con GV. Un’iniziativa promossa dal docente di storia e filosofia, Giulio Leopoldo Bellocchio, con l’intento di sollecitare l’autoriflessione, l’analisi e il giudizio sull’esperienza vissuta. Due conversazioni con il giornalista, un tema-articolo: ecco le occasioni messe in campo per ragionare sul lockdown, ma anche sul futuro della didattica.
Quasi paradossalmente, per molti il primo desiderio è di… tornare a scuola: «All’inizio – ricorda Emily – ero contenta di non andare; adesso mi manca di fare la strada verso il liceo, trovarmi con i miei compagni, parlare con gli insegnanti, fare interrogazioni normali…».
L’assenza della classe e dello stare in aula pesa anche sull’apprendimento: «È difficile seguire le lezioni on line – prosegue Emily – perché davanti a uno schermo, a casa, ci sono molte più distrazioni e rimanere concentrati è complicato».
«Non c’è qualcosa che si impara meglio da remoto», interviene Luca: «È molto più facile la partecipazione attiva in classe. Ed è vero che distrarsi, quando si è a casa, è più frequente».
E non è solo una questione di didattica e apprendimento: fare gruppo classe, dal vivo, significa anche vivere le relazioni: «Trovo – riflette Rebecca – che in questi mesi siano calate amicizia, complicità e relazione fra noi compagni di classe. Non vedendoci mai, se non per qualche ora su Meet, non aiuta».
Ed è vero che il canale virtuale porta anche una semplificazione dei rapporti: «Ci sono le persone – aggiunge Benedetta – che ti scrivono per sentire come stai e quelle che, nel tempo del distacco, non si fanno presenti: è una sorta di selezione. Ma io sento la mancanza dei miei compagni e amici, anche di un semplice abbraccio, il contatto fisico manca tantissimo… Piccole cose che fanno la differenza. Questa pandemia mi è servita tanto a riflettere su che cosa è davvero importante».
E se è difficile trovare qualche vantaggio dal punto di vista didattico, per qualcuno il “confinamento” a casa ha avuto qualcos’altro di buono: «In questi due mesi – afferma Veronica – ho gradito di avere più tempo per fare cose che prima lasciavo in disparte e, soprattutto, per stare tanto con la mia famiglia: mi è servito tantissimo e di questo sono grata. Ma sono una persona che ha bisogno di contatto, di parlare dal vero con gli altri; perciò pensare a un mondo virtuale non mi soddisfa: non potrei mai vivere virtualmente».
Quanto basta per augurarsi coralmente che la classe quinta e l’esame di maturità dell’anno prossimo siano reali, in presenza, e assai poco digitali. «È così», fa sintesi il prof. Bellocchio: «Il profitto scolastico, in questo mesi, è un po’ calato. È venuta meno la possibilità di essere insieme in classe e di vedere le reazioni l’uno dell’altro; stando da soli si riceve di meno l’aiuto intellettuale e lo stimolo degli altri. Certo, chi era propenso a intervenire e fare collegamenti ha continuato a farlo. Ma a far passare l’idea della scuola virtuale come progresso e prospettiva per il futuro ci penserei su bene. La riproporrei solo se c’è un forte rischio sanitario».
«L’auspicio – conclude il prof. Vincenzo Linea, insegnante di Italiano, che ha partecipato all’iniziativa – è che ci sia, da settembre, una sorta di rinascimento emotivo; e perciò un uso diverso della didattica a distanza, magari solo per attività di consolidamento e potenziamento. È opportuno, invece, andare avanti con il programma e fare verifiche in presenza. La scuola digitale resta però uno scenario educativo inesplorato; da ciò l’invito ai ragazzi di vivere anche le esperienze future come una sfida e una possibilità di crescita».
Giorgio Malavasi