La Venezia contemporanea di Dante era una città sovrana di sé stessa, che non si inchinava a nessuno, con una propria autonomia religiosa, il Patriarca, e politica, il Doge. Il sommo poeta sarà sicuramente rimasto affascinato da una realtà che eludeva completamente gli schemi medievali ai quali era solito. Come spiega nella sua opera politica latina il De Monarchia, Alighieri contemplava l’idea di due unici poteri autonomi, l’impero e il papato, entrambi voluti da Dio e rappresentanti di “un grande potere in terra che assicura la felicità quaggiù” e un “grande potere spirituale che assicura la felicità lassù”. In un panorama italiano dilaniato da lotte fratricide, Venezia sembrava estranea a tutto questo.
«Dante morì con Venezia negli occhi», immagina la Professoressa Chiara Magaraggia, docente vicentina che con il suo progetto ha ripercorso le orme di Dante sulla Romea Strata, la principale via attraversata dai pellegrini medievali che dalle Alpi Orientali si dirigevano a Roma. «L’ultimo viaggio di Dante – ricorda la studiosa – fu proprio a Venezia, dove si recò per conto della piccola signoria ravennata dei Da Polenta, i quali affidarono al poeta il compito di dissuadere la Serenissima dall’espansione oltre il Po’. Di ritorno dalla missione diplomatica incontrò la malaria, passate le Valli di Comacchio e morì a Ravenna».
Molti altri sono i territori veneti toccati dal sommo poeta durante il suo esilio e vari sono i riferimenti ad essi nella Divina Commedia.
Venezia viene descritta da Dante anche nel ventunesimo canto dell’Inferno, dove si trova la bolgia dei barattieri, tangentisti e corrotti in politica: una bolgia che odia particolarmente poiché rappresentativa del reato di cui è accusato. Qui descrive un via via di dannati e della pece bollente sul fondo, una pece simile a quella dell’Arsenale di Venezia, con cui si riparavano le navi danneggiate. Una descrizione molto dettagliata che ricorda perfettamente l’attività invernale di continua riparazione all’interno dell’Arsenale, un’immagine così vivace e limpida che sicuramente – rileva Chiara Magaraggia – è stata vista e vissuta dal poeta durante il suo soggiorno nell’isola.
Altri territori veneti citati sono: Romano d’Ezzelino con il “Col di Dante”, Padova con Reginaldo Scrovegni incontrato da Dante all’Inferno tra gli usurai, e la zona di Oriago. Qui il poeta racconta – nel quinto canto del Purgatorio – del tragico inseguimento di Jacopo Del Cassero, un politico marchigiano in fuga dal Signore di Ferrara con il quale aveva rivalità politiche. L’inseguimento viene descritto da Dante in modo quasi cinematografico e collocato nelle paludi di Mira e Oriago tra canne e fango, dove Jacopo morirà.
La Fondazione Homo Viator – San Teobaldo di Vicenza ha ricostruito il più possibile fedelmente un itinerario dantesco veneto. La Romea Strata, ricostruita grazie al lavoro di Don Raimondo Sinibaldi, travalicava il Po’ e arrivava a Pistoia, dove si fondeva con la Francigena da una parte, mentre il ramo nord occidentale andava a Santiago de Compostela. I pellegrini che venivano dal nord Europa si fermavano a Venezia e non partivano poi per Roma, ma si imbarcavano per la Terra Santa.
Sul sito della Fondazione Homo Viator si trova una mappa della Romea Strata e lo studio della Professoressa Chiara Magaraggia. (G.T.)