Il Coronavirus aiuterà l’Europa a diventare più unita. Sembra paradossale, ma è così. Se non altro perché, quando si farà il conto di quanto ci sarà costata l’epidemia – in termini umani ed economici – ci si renderà conto che si poteva spendere di meno: bastava unire le forze, le competenze e le volontà politiche, fra i 27 Paesi dell’Unione, e la soluzione al problema sarebbe arrivata prima e con un bilancio meno doloroso. E questo è un motivo in più per difendere il processo di integrazione europeo.
Con sfumature diverse, ma è ciò che pensano alcuni giovani italiani, che vivono e lavorano in diversi Paesi del Vecchio Continente, e che sabato 4 mattina si sono confrontati – rigorosamente in videoconferenza – dinanzi ad una platea di un’ottantina di studenti dalla terza alla quinta superiore, tutti collegati sulla stessa piattaforma digitale.
È uno degli esiti buoni dell’attuale tragico contesto: difficilmente, se non per la drammatica contingenza che viviamo, si sarebbe riusciti a mettere insieme tante diverse esperienze, portandole a scuola, a beneficio degli studenti.
Sì, perché il merito di fondo va ad una scuola, l’Istituto 8 Marzo-Lorenz di Mirano e, in particolare, ad una sua insegnante, Franca Zampieri, che ha ideato e coordinato il meeting, insieme al figlio Fabio Stevanato.
«Il virus ha accelerato un processo in atto», afferma Carlo Bindoni, che in Spagna lavora per la confederazione degli industriali: «È come se ne avesse portato la velocità da 10 a 200 all’ora. Si capisce ora con molto maggiore chiarezza che per affrontare i problemi occorrono competenze. Quando nella stanza dei bottoni della politica entrano invece persone incompetenti, poi si paga un conto salato». L’epidemia, secondo Bindoni, sta mostrando che sono essenziali le competenze degli esperti e che questo crescono in un contesto di relazioni internazionali.
Per molti dei giovani veneti intervenuti sabato il vero punto di forza dell’Europa è proprio questo: ponendo in relazione le forze, crescono le convenienze di tutti e di ciascuno.
Una convinzione, questa, che esprime in forma moderna la ragion d’essere dell’Unione. C’è meno afflato ideale rispetto a quanto pensavano i Padri (soprattutto De Gasperi, Adenauer, Schumann) ma la visione è più realistica e solida, almeno per la sensibilità di oggi.
«Probabilmente, terminata l’epidemia, si ricreerà l’esigenza di cui si era fatta esperienza dopo la seconda guerra mondiale», aggiunge Benedetto Zaccaria, ricercatore sui temi dell’integrazione europea: «Come allora penso che, superata la crisi, ci sarà una spinta forte per ripartire. Sulla base dei quattro pilastri su cui si fonda l’Unione – libera circolazione di merci, servizi, capitali e persone – si tornerà a far correre l’export e l’economia. Se pensiamo di superare, grazie all’Europa unita, gli stati-nazione, siamo invece fuori strada. Se pensiamo che si possa far crescere i vantaggi di tutti e di ognuno, allora ci siamo».
E c’è pure il caso che Covid-19 faccia percepire meglio i vantaggi già conseguiti grazie all’Europa unita. Ne è convinta Marta Dal Corso, archeologa, ricercatrice universitaria nel nord della Germania: «La libertà di movimento in Europa è un vero privilegio e lo scopri quando parli con coetanei turchi, ucraini, moldavi…, che per muoversi devono fare il visto, hanno scadenze, bisogno di sostegno economico, problemi di tutela personale in termini di sanità… Noi, semmai, siamo un po’ viziatelli e troppo abituati a essere europei». Perciò lo stop forzato alle abitudini europee sta risvegliando la consapevolezza dei vantaggi: «Se io fossi rimasta in Italia – conclude Marta – avrei avuto più sole ma meno opportunità».
«La crisi ci fa pensare a come gestire meglio, in futuro, risorse essenziali», condivide da Bruxelles Milo Fiasconaro, segretario di un’organizzazione che promuove la gestione dell’acqua come bene pubblico. «Il virus impone gestioni transnazionali e non solo locali dei problemi, e questo ha molto da dire sul come affrontare la crisi successiva e impellente: quella da cambiamenti climatici e ambientali».
Un concetto, quello della convenienza dell’Unione, ribadito infine da Linda Mehiar, ricercatrice a Londra: «Io mi sento più cittadina europea che italiana. Ho costruito questa consapevolezza non perché aiutata dal sistema scolastico, ma per l’esperienza che sto facendo. Come Europa unita siamo nati perché economicamente conveniva e tuttora ci conviene ma – è la convinzione di Linda, che alle altre aggiunge una considerazione schiettamente culturale – oggi possiamo considerarci un unico popolo. Quando vado fuori dall’Europa lo percepisco: mi sento diversa. Noi europei abbiamo secoli di storia comune alle spalle». E questo cementa l’Unione delle convenienze.
Giorgio Malavasi