Tra il centenario della fine della Grande Guerra e le rievocazioni sessantottesche, il 2018 sembra essere l’anno degli anniversari. Ma c’è anche molto altro: esattamente 50 anni fa moriva Romano Guardini (1885-1968), prete cattolico di origini veronesi poi naturalizzatosi cittadino tedesco, che finì i suoi giorni a Monaco dove è sepolto. Lo scorso dicembre nel duomo del capoluogo bavarese il cardinale Marx ha aperto ufficialmente il processo di beatificazione del pensatore italo-tedesco. È difficile esagerare l’importanza di quest’uomo, che si presentava come timido e minuto ma i cui corsi universitari – frequentatissimi – e le cui opere hanno formato generazioni di cattolici.
Tra questi vanno annoverati – oltre a Paolo VI – anche i due ultimi papi. Papa Benedetto lo conobbe personalmente e seguì alcune delle sue lezioni: il legame con Guardini è esplicito in diverse opere di Ratzinger. Basti pensare che la sua imponente opera intitolata Gesù di Nazareth (in tre volumi) si apre con un tributo di stima e di riconoscenza ad un testo di Guardini, divenuto un classico della formazione spirituale del Novecento:Il Signore, tradotto in italiano con molto ritardo e con qualche difficoltà, ma ben presto rieditato un numero straordinario di volte. Un capolavoro – quest’opera di Guardini – che ha lasciato un segno anche nei preti e laici della nostra diocesi.
Se può sembrare abbastanza normale la relazione di Ratzinger con Guardini – sono entrambi tedeschi –, stupisce il legame tra Guardini e papa Francesco. Eppure, anche in questo caso l’influsso del pensatore italo-tedesco è indubbio. Lo ha rivelato lo stesso Bergoglio raccontando come verso gli anni ’80 avesse iniziato il dottorato – non portato a compimento – proprio sulla figura di Guardini. Per questo studio si era trasferito in Germania per circa un anno. I frutti della frequentazione di papa Francesco con gli scritti di Guardini si vedono nelle citazioni che appaiono talvolta in alcuni dei suoi discorsi, ma soprattutto si svelano in quelli che sono i due documenti programmatici del suo pontificato: l’Evangelii Gaudium e la Laudato si’.
Per quanto riguarda l’esortazione post-sinodale sulla Gioia del Vangelo, papa Francesco deve a Guardini l’approccio di comprensione della realtà, tesa continuamente – secondo il pensatore italo-tedesco – tra due poli in opposizione dialettica. Si tratta della cosiddetta teoria guardiniana dell’opposizione polare, che papa Francesco applica in forma creativa quando enuncia i “quattro postulati”: il tempo è superiore allo spazio; l’unità prevale sul conflitto; la realtà è più importante dell’idea; il tutto è superiore alla parte. Nella Laudato si’ Bergoglio mutua da Guardini la sua lettura della società contemporanea, caratterizzata dal “paradigma tecnocratico” – cioè dall’eccesso di potere conferito alla tecnica – che impedisce all’uomo di comprendere i veri fini dell’esistenza umana. Attraverso Guardini, papa Francesco critica il modello di sviluppo – basato sulla fiducia incondizionata nella scienza e sul potere della tecnica – che si è via via consolidato in Europa dalla fine dell’Ottocento sino ad oggi.
Tra gli scritti guardiniani, che hanno segnato il Novecento cattolico, non può essere taciuto Lo spirito della liturgia: agli inizi del secolo, diede un contributo importante al rinnovamento liturgico che culminò poi nel Concilio Vaticano II. Straordinariamente importante è anche L’essenza del cristianesimo, un librino tanto piccolo quanto luminoso, che riafferma il centro incandescente del cristianesimo, costituito non da generici valori di carattere filantropico, ma dalla persona di Gesù Cristo, dall’incontro personale e comunitario con Lui. Sembra di sentire papa Bergoglio quando dice che la Chiesa non è una ONG e che la gioia del Vangelo scaturisce dall’incontro vivo con Cristo dentro al popolo di Dio!
In questi giorni, segnati da polemiche furibonde in concomitanza con un altro anniversario – quello della legge sull’aborto (1978) –, è bene citare anche un altro scritto guardiniano: Il diritto alla vita prima della nascita o – per essere più aderenti all’originale tedesco – Il diritto della vita umana in divenire, del 1949. Anche in questo caso, un piccolo gioiello che – in modo pacato e al contempo lucido – espone le ragioni della visione cattolica sulla vita nascente, la quale riposa fondamentalmente sul fatto che già dal momento del concepimento l’embrione va considerato come “persona”. Un piccolo libro che conserva tutta la sua freschezza, da rileggere, anche come stile, per affrontare in modo serio una questione grave sulla quale torneremo presto e che ancora oggi è spesso affrontata in forme esacerbate e sterili.
Alessio Magoga
(direttore del settimanale diocesano di Vittorio Veneto L’Azione)