Alla 57^ Biennale di Venezia l’arte diventa speranza per molti grazie al Green light – An artistic workshop realizzato dall’artista danese Olafur Eliasson, un laboratorio per richiedenti asilo e rifugiati che si trova presso i Giardini della Biennale nelle prime sale del Padiglione Centrale.
Lì ogni giorno vengono accolti una quarantina di immigrati provenienti principalmente dall’Africa, in particolare da Nigeria, Gambia e Somalia, ma anche da Siria, Iraq, Afghanistan e Cina.
Gli immigrati che hanno aderito all’iniziativa sono tutti appoggiati a diverse realtà e ong del territorio veneziano, non a caso il progetto è reso possibile grazie al supporto della prefettura, del comune e del patriarcato di Venezia. Durante la giornata coloro che prendono parte al progetto trovano impiego nella realizzazione delle lampade ecologiche progettate da Olafur Eliasson in collaborazione con Thyssen-Bornemisza Art Contemporary (TBA21) di Vienna.
Il tutto però fa parte di un programma più complesso chiamato Shared learning (apprendimento condiviso) che, ideato da TBA21, offre la possibilità di svolgere nell’auditorium appositamente ricreato all’interno del laboratorio corsi di lingua giornalieri, formazione professionale, consulenze psicologiche e legali, workshop di musica e video, seminari educativi, conferenze e workshop con alcuni artisti che partecipano alla Biennale.
Green light è un atto di accoglienza pensato in risposta alle migrazioni e che vuole incoraggiare l’impegno civico. I visitatori, infatti, sono invitati a costruire le lampade insieme ai rifugiati e richiedenti asilo. Chi vuole può anche fare una donazione o con 250 euro comprare una lampada il cui ricavato sarà devoluto ad Emergency e alla Georg Danzer Haus di Vienna, una piccola scuola ideata da migranti minorenni che non hanno ancora il diritto di poter accedere all’istruzione pubblica.
«Green light è un atto di accoglienza rivolto sia a coloro che sono riusciti a fuggire dalle difficoltà e dall’instabilità dei loro paesi d’origine che ai residenti delle città che li ricevono. Sono molto lieto di poter presentare il progetto alla Biennale Arte 2017. Per me, andare alla Biennale è sempre stato come andare più in profondità nella realtà, non un modo per uscirne. Lo spostamento di massa e la migrazione sono le sfide fondamentali nel mondo di oggi, che colpiscono milioni di persone. Green light propone un’umile strategia per affrontare le sfide e le responsabilità derivanti dalla situazione attuale e fa brillare una luce sul valore del lavoro collaborativo e del pensiero».
È quanto ha dichiarato l’artista Olafur Eliasson, riferendosi al suo progetto. La lampada ideata da Eliasson è un’unità a poliedro ricavata dall’unione di due cubi e dotata di un piccolo led a luce verde. È realizzata prevalentemente con materiali ecologici, riciclati e sostenibili. Anche il pigmento verde usato per creare le sfumature di colore sul legno è organico così come i pezzi che servono per assemblare le lampade che, realizzati con la stampante 3D, sono in plastica riciclata, ricavata dagli scarponi da sci. Le lampade sono progettate per essere usate singolarmente o venir assemblate per dare vita a molteplici linee.
«Il progetto, nato nel 2016 a Vienna, esiste per aiutare attraverso l’arte i rifugiati e i richiedenti asilo ad uscire da questo limbo politico e sociale e dal sentirsi isolati e soli» racconta la project manager Venturi. «Scopo principale è far sentire i ragazzi parte di una famiglia, l’idea è di creare una comunità e farli sentire amici, conoscersi e sviluppare relazioni a livello umano. Inoltre è un pretesto per far sì che a livello psicologico sentano di aver portato qualcosa a compimento. Alla fine del workshop avranno attestati di lingua, inoltre stiamo preparando loro i curriculum per aiutarli ad inserirsi nell’ambito lavorativo» continua.
«L’artista desidererebbe che chiunque comprasse la lampada poi la esponesse fuori dalla finestra di casa. La luce verde assume allora un messaggio di speranza, un benvenuto all’immigrazione, simboleggiando un lascia passare» spiega infine la Venturi, dicendo che finora sono state vendute circa 140 lampade di 250 costruite, e molti sono coloro che sono venuti a chiedere informazioni per fare ordini di grandi quantità.
Terminata la prima parte del workshop, riprenderà i primi di settembre con altri 40 immigrati da coinvolgere nel progetto. Inoltre, molti di coloro che hanno aderito alla prima sessione, essendosi trovati moto bene, hanno chiesto di poter tornare. Durante il periodo di pausa le lampade continuano ad essere esposte per poter essere vendute e in più saranno predisposti tre schermi che proietteranno un film documentario su quanto fatto dagli immigrati durante il workshop e lo Shared learning, così che diventeranno a loro volta artisti. Un laboratorio che diviene la concreta dimostrazione del filo sottile che lega l’arte alla società, indagando e approfondendo tematiche delicate e di estrema attualità.
Il workshop esplicita e incarna il tema chiave dell’esposizione intitolata “Viva arte viva”, nel senso che l’arte può dare vita e speranza, proprio come la luce verde che si diffonde dalle lampade. Mettere l’arte al servizio del prossimo, questo è il vero umanesimo tanto voluto dalla curatrice della Biennale Christine Macel.
Francesca Catalano