Capire ciò che si studia aiuta a vivere. Per parecchi studenti è un’affermazione insensata, da brividi. E invece… se mai si riuscisse ad avvicinare qualche ragazzo a questa consapevolezza sarebbe un successo. Perché la prima e più scandalosa delle distanze è quella che si genera fra uno scolaro e la scuola.
Dare risposta alle domande “Che cosa me ne importa?” o “Che cosa c’entra questa cosa, che voi chiamate filosofia, con la mia vita?” è uno degli obiettivi di fondo delle Romanae Disputationes. E l’altro obiettivo è aiutare gli insegnanti a trovare strumenti nuovi ed efficaci per appassionare gli allievi ad una materia che è tutto men che astratta e astrusa.
Le Romanae Disputationes sono un concorso nazionale, arrivato alla quinta edizione, che ha per destinatari gli studenti dei trienni delle superiori e che viene promosso da ToKalOn – Didattica per l’eccellenza, un’associazione di docenti di scuola superiore, ricercatori universitari e professionisti, che crea percorsi volti a promuovere le eccellenze nella scuola italiana.
«La nostra missione – sottolineano i promotori – è ripartire dalla realtà. Perché la filosofia è riflessione sulla realtà. Perciò è opportuno che parli sempre di più ai giovani».
Un approccio, questo, condiviso anche dall’Ufficio del Patriarcato di Venezia per la pastorale della scuola, che ha conosciuto le Disputationes e le sta sostenendo: «Noi – chiarisce il direttore dell’Ufficio, don Francesco Marchesi – ci rivolgiamo in primis agli insegnanti. E cosa un insegnante cattolico deve avere a cuore? Che i suoi studenti prendano o riprendano un contatto concreto con il mondo reale in cui sono immersi, facendosi delle domande e non assumendo tutto in modo acritico».
È la scollatura tra scuola e vita reale, infatti, che produce tante carenze educative e l’assenza di domande vere. Cioè di quei “perché” che danno un senso all’esistenza e senza i quali ci si perde nel caos o ci si intruppa nel gregge.
La separazione tra scuola e vita, infatti, intanto genera disaffezione (per non dire antipatia) allo studio. E poi conduce al fallimento – totale o parziale – lo sforzo di tanti docenti, volto a creare nuovi cittadini. Così ce ne rimette la società, che a sua volta non può contare su chi sappia costruire le condizioni per realizzare il bene individuale e collettivo.
Ecco, dunque, il soccorso offerto dalle Romanae Disputationes. Che l’anno scorso hanno coinvolto più di tremila ragazzi a ragionare sul tema “Logos e techne – Tecnologia e filosofia”, mentre quest’anno invitano a pensare a “La natura del bello”. Gli scolari che, in team variabili da 2 a 9 partecipanti, si iscrivono hanno intanto la possibilità di assistere a dodici video-lezioni pubblicate settimanalmente nel portale dedicato. Si tratta di lezioni sul tema, offerte da alcuni dei maggiori filosofi italiani.
Poi gli studenti sono invitati a produrre essi stessi pensiero. Lo possono fare in forma di scritto (non oltre i 30mila caratteri) o di video (non superiore ai dieci minuti). Ed è comprovato che sia con le parole che con il linguaggio delle immagini riescono a realizzare cose di rilievo e di indubbia originalità (basti vedere, su Youtube, i video premiati nella passata edizione: stile, velocità e creatività non mancano e aiutano sensibilmente nell’esposizione di un’idea di fondo).
Soprattutto, i giovani sono chiamati a domandarsi il perché delle cose; anche di quella tecnologia – per stare al tema dello scorso anno – in cui è sempre più immersa la loro vita. O della bellezza, di cui non si può fare a meno.
Giorgio Malavasi