Altro che ancella di Venezia. Torcello mill’anni fa non aveva alcuna intenzione di dar man forte alla grande storia di Venezia. Viveva, semmai, la sua realtà: simile, ma separata da quella di Venezia. Era, cioè, un porto commerciale significativo: il porto di Altino. Ma certamente non era intenzionata ad accrescere fama e grandezza dell’abitato di Rivo Alto. È che, nella competizione, questo ha prevalso.
Lo conferma l’ultima campagna di scavi archeologici, condotta nelle settimane scorse a Torcello. Una campagna promossa da Ca’ Foscari, sostenuta da fondi europei e guidata dall’archeologo e docente dell’università veneziana Diego Calaon, insieme alla collega Elisabetta Zendri, docente di chimica del restauro. Il tutto in collaborazione con il Dipartimento di Antropologia dell’Università di Stanford (California) e il Dipartimento di archeologia dell’Università di Reading (Regno Unito).
È il quartiere portuale di Altino. Se proprio deve fare l’ancella di qualcuno, Torcello la fa di Altino. «Attorno al VI secolo – spiega Diego Calaon – all’altezza di Torcello il fiume Sile sfociava in mare. E proprio per questa ragione Torcello era stata scelta come il posto di scambio fra le rotte marittime e le rotte fluviali. In sostanza, questo è il tempo in cui Altino perde le sue funzioni portuali, sposta la sua linea di costa verso il mare e, per necessità, elegge un luogo più avanzato – Torcello, appunto – come proprio quartiere portuale».
Niente a che vedere, quindi, con le leggendarie fughe in laguna di popolazioni terrorizzate dalle avanzate dei barbari. È l’evoluzione del territorio e, con essa, degli equilibri e delle convenienze economiche, ad aver alimentato la stagione d’oro dell’isola.
Lo dimostra, fra l’altro, lo studio condotto dagli archeologi su quanto riemerso di un magazzino del VI secolo: «Era parte – continua l’archeologo – di una rete di magazzini sulla riva, fatti tutti con materiali di riporto di Altino. Tutti erano disposti lungo un ampio molo, dove si poteva attraccare, scaricare e stoccare le merci».
Dove lo Stato si sbriciola… E a questi traffici acquei Torcello deve il suo sviluppo: «Quando il vescovo decide di costruire lì la sua cattedrale, nel VII secolo, lo fa perché quello è un quartiere densamente popolato della città. Ma il vescovo non smetterà mai di farsi chiamare vescovo di Altino». Molto probabilmente perché storia, fama e rilievo ecclesiale della città altinate inducevano a rifarsi ad essa, sia pure in un tempo di progressivo declino.
Un tempo in cui cambiano anche logiche e modalità di gestione di un porto: «Guardando le strutture e osservando la qualità dei materiali – precisa Calaon – si intuisce il trapasso dai grandi investimenti pubblici di epoca romana a quelli medio-piccoli e di provenienza privata di questa stagione».
Case di 70 metri quadri per famiglia. Torcello è un porto e un centro commerciale, ma è anche un centro abitato: lo mostrano le ricerche delle scorse settimane, condotte anche sui resti di un “quartiere” di case di legno, costruito e utilizzato tra il IX e il XII secolo, «dove abbiamo trovato una qualità di materiali che forse non ci aspettavamo. Case ben costruite, con l’alzata di legno ma intonacata, con una porta d’acqua per unità abitativa. Le abitazioni avevano una superficie media di 35 metri quadrati per piano e potevano ospitare nuclei familiari di 5-6 persone; a pianterreno si cucinava e al primo piano si andava per dormire, mentre tutta l’attività lavorativa e sociale si svolgeva all’esterno».
Un insediamento molto strutturato, denso, con spazi limitati tra una casa e l’altra, a denotare una progettazione urbana non casuale, ma studiata. E anche una buona organizzazione delle tecniche necessarie per risolvere i problemi elementari della quotidianità: «Prima fra tutte la gestione dell’acqua. C’è un sistema di cisterne, che si riempivano recuperando dai tetti l’acqua piovana».
Tanti residenti? No, al più erano 1500. Tutto ciò non toglie che, proprio grazie alla scientificità delle ricerche condotte, si possa ridimensionare qualche numero un po’ fantasioso. Come quello degli abitanti di Torcello e delle vicine Mazzorbo e Burano che, con Torcello, facevano un tutt’uno urbano. Chiarisce Diego Calaon: «Abbiamo stimato che, nelle tre isole, ci siano state in quei secoli tra le 200 e le 400 case. Il che significa che la popolazione residente non ha superato le 1500 unità».
Numero ben più contenuti, dunque, di quelli che la tradizione e testi ormai un po’ datati hanno attribuito a Torcello e isole limitrofe (si è scritto di 30 e perfino di 50mila persone).
Il fatto, invece, che di esse non sia rimasto pressoché nulla, mentre la basilica – sia pure nella riedificazione dell’XI secolo – è ancora tra noi, si spiega per le differenti tecniche costruttive. I mattoni, nell’area veneta, non vengono più prodotti dal V-VI fino al XII secolo. Perciò le case sono edificate in legno e sono andate via via sparendo; a differenza della basilica, in pietra e mattoni riportati da Altino, per renderla più monumentale e magniloquente.
Come Venezia ha vinto la concorrenza di Torcello. E dati i ritrovamenti della nuova campagna di scavi, come cambia la conoscenza della storia di Torcello? «La storia dell’isola – conclude l’archeologo Calaon – è sempre stata un po’ viziata dalla grande storia di Venezia. Si è sempre tentato di presentare Torcello come una realtà che prepara la nascita di Venezia; in realtà, pur assomigliandosi, sono due fenomeni urbani separati. Le ragioni socio-economiche che permettono al grande porto di Altino, che è Torcello, di svilupparsi sono le stesse che fanno nascere Venezia, ma si tratta di due vicende separate e parallele. Quello che poi succede è che nell’XI-XII secolo Venezia sviluppa, grazie ai suoi nobili, legami potenti con il mondo bizantino e carolingio. Perciò lentamente ingloba le funzioni portuali di Torcello e prende il sopravvento».
Giorgio Malavasi