Se per un uomo che maltratta o minaccia una donna il giudice dispone il divieto di avvicinamento o anche il braccialetto elettronico e poi succede che, nonostante tutto, l’uomo raggiunge la donna e la uccide, che responsabilità ha il magistrato per la decisione presa?
«Attualmente nessuna», consta Martina Semenzato, veneziana, parlamentare, presidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio, nonché su ogni forma di violenza di genere. «Ed è per questo che occorre intervenire sul piano normativo».
E per una volta si potrebbe prendere esempio dagli altri, suggerisce Semenzato, intervenendo al convegno “La forza della speranza”, promosso dall’Istituto Casa Famiglia San Pio X e dai Lions club veneziani, tenutosi venerdì 28 febbraio al Centro Candiani di Mestre.
«Sto facendo una relazione sul diritto comparato – spiega la Semenzato – per capire che cosa fanno gli altri Stati. L’Italia è Paese virtuoso perché, insieme alla Spagna, il nostro è un territorio che ha moltissime norme a tutela delle donne e contro le violenze di genere. Ma la Romania ha una norma che a noi manca: prevede la responsabilità del magistrato, qualora in sede di giudizio non abbia identificato un uomo violento e ci siano state delle conseguenze più gravi».
Una misura del genere potrebbe inquadrarsi nell’ambito della legge Vassalli del 1998, che già prevede la responsabilità civile del magistrato: la persona che si sente lesa a causa di una decisione del giudice, qualora dimostri la propria tesi può rivalersi presso l’amministrazione della giustizia, che a sua volta può chiedere una sanzione economica al magistrato (fino a metà del suo stipendio).
Secondo l’onorevole Semenzato, se la responsabilità civile del giudice che sbaglia è un primo passo essenziale, va anche introdotta un’ulteriore stretta: «Le donne non le salvi con il braccialetto elettronico, ma con la detenzione cautelare. Prima i magistrati prescrivevano il braccialetto elettronico con una certa parsimonia; adesso, anche grazie alle migliorie normative giunte in questi anni, lo fanno con maggiore ampiezza. Ma dipende dalla pericolosità del maltrattante: perché se uno chiama di continuo, stalkerizza, spintona… non gli va dato semplicemente il braccialetto elettronico, ma va disposta la detenzione cautelare».
In effetti si tratta di una valutazione del rischio che sta in capo al magistrato. Ma è anche difficilmente pensabile che, in base ai principi costituzionali, qualunque querela possa essere seguita da un provvedimento di custodia cautelare.
Giorgio Malavasi