Il legame esistente o da ricreare tra gli attuali strumenti di comunicazione e la comunità cristiana, come comunicare al meglio i diversi ambiti di vita cristiana sapendo che la Chiesa comunica se stessa in ogni suo momento e ambiente (catechesi, liturgia, carità), quale stile e quali modalità di intervento e di dialogo nel contesto della “piazza digitale”, come articolare la comunicazione tra la realtà ecclesiale e i media in casi problematici o situazioni di “crisi” riuscendo a proporre (e a difendere) le ragioni della fede in modo efficace ed autorevole senza alzare la voce e i toni: sono stati questi i principali temi toccati durante la tradizionale “due giorni” promossa e vissuta lunedì 7 e martedì 8 gennaio 2019 dai Vescovi del Nordest nella “Casa S. Maria Assunta” di Cavallino (Venezia) ed allargata ad un paio di altri rappresentanti – sacerdoti e laici – per ciascuna delle 15 Diocesi della Conferenza Episcopale Triveneto (Cet).
Un paio di relazioni iniziali hanno inquadrato e offerto il quadro generale del tema “Per una Chiesa che comunica”: nella prima il prof. Adriano Fabris (docente di Filosofia morale all’Università di Pisa) ha sottolineato la necessità di saper utilizzare in maniera giusta e con competenza, da veri “testimoni” e non da “testimonial”, tutti gli strumenti della comunicazione perché “non sono mai solo dei mezzi;
incidono e cambiano la mentalità, il modo di pensare e di vivere. Hanno un impatto fondamentale sulle persone ed aprono ambienti di interazione nei quali dobbiamo esserci per comunicare altro e rimandare alla trascendenza”. Nella seconda relazione don Marco Rondonotti (sacerdote della Diocesi di Novara e ricercatore del Cremit dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) ha espresso indicazioni e proposte per una “pastorale 3.0” invitando a dare respiro e orizzonte più ampio alla comunicazione partendo sempre dalla persona “che va aiutata e accompagnata a riscoprire alcune dimensioni di sé, dalla memoria alle emozioni, ed anche a lavorare e riflettere sull’immagine e sull’esposizione che offre di se stessa nell’ambiente digitale. E bisogna imparare a legare di più le nostre narrazioni nei social alla presenza del Signore nella storia della nostra vita, come un filo rosso da intercettare e riscoprire”.
Gli ambiti di approfondimento e confronto, in tre gruppi, sono stati poi introdotti e indirizzati da tre apposite comunicazioni. Vincenzo Grienti (giornalista e digital editor, collaboratore dell’Ufficio della Cei per le comunicazioni sociali) ha parlato degli approcci comportamentali presenti nei social e ribadito l’importanza di ridare alla Rete il suo carattere originario di condivisione ed interazione tra le persone, puntando molto sulla testimonianza, sulla prossimità e sull’accompagnamento in modo da creare comunità e relazioni autentiche. Per Gigio Rancilio (giornalista, responsabile social e web del quotidiano Avvenire) “il mondo digitale è un luogo e i luoghi vanno abitati perché lì troviamo le persone; per questo deve diventare un nostro grande alleato. Dobbiamo riuscire ad ascoltare queste persone, capire quali sono i loro bisogni e cominciare a relazionarci meglio e con delle regole. Nel mondo digitale stiamo diventando sempre più marginali, eppure dobbiamo vederlo come un grande alleato”. Martina Pastorelli (giornalista, fondatrice e coordinatrice di Catholic Voices Italia) ha suggerito come volgere le controversie in opportunità per “raccontare un’altra storia, il nostro impegno per le persone, mostrando quelle alternative migliori che ci sono quasi sempre e nessuno racconta, a partire anche dalle intenzioni ‘positive’ che spesso ci sono anche nelle critiche rivolte alla Chiesa. Il cristianesimo è un’opzione positiva; è il grande sì che la Chiesa dice all’uomo, a tutte le persone”.
Nel trarre alcune conclusioni sui lavori della “due giorni”, Piergiorgio Franceschini (responsabile della Commissione triveneta della comunicazioni sociali e che, con l’Arcivescovo emerito di Trento mons. Luigi Bressan, ha coordinato l’intero incontro) ha infine rilevato il valore “dello stare nei media e nei social da testimoni – lo stile è sostanza – che hanno qualcosa e Qualcuno di importante a cui rimandare. Diamo peso alle storie, tornando continuamente al vissuto, ai desideri e alle esigenze della nostra gente. Accettiamo la sfida di voler essere significativi e riconosciamo l’urgenza di avere, nelle nostre Diocesi, progetti comunicativi ed editoriali che rispondano alle attese e ai bisogni delle persone”.
Nell’intervento finale il Patriarca di Venezia e Presidente della Cet Francesco Moraglia ha, quindi, affermato: “Dobbiamo abitare il mondo dei media e dei social con libertà, consapevoli anche dei nostri limiti. Non sono un assoluto, ma non possiamo ignorarli, non conoscerli o snobbarli. Per questo è importante che la Chiesa si doti delle competenze necessarie facendo entrare di più questa materia e questo ambito nel nostro modo di essere cristiani oggi, a cominciare dai Seminari e dagli Istituti di Scienze religiose. Ma sappiamo bene che, alla fine, non basta essere solo competenti; bisogna essere anche uomini e donne di Chiesa ed è necessario riuscire a padroneggiare tali mezzi e strumenti da uomini e donne di Chiesa, con libertà e fiducia”.