Finalmente da martedì 6 i volontari sono potuti tornare a prestare servizio in carcere, seppur in modo ridotto. La conferma arriva da don Antonio Biancotto, cappellano dell’Istituto penitenziario.
«Per quanto riguarda i volontari della diocesi, che seguono insieme a me l’aspetto religioso, possono entrare in carcere in due, rispetto agli otto di una volta. Loro seguono i due gruppi di ascolto della Parola di Dio, del lunedì e giovedì pomeriggio, e possono avere un massimo di 12 partecipanti» spiega il sacerdote. Nell’Istituto penitenziario, oltre a celebrare la Messa don Antonio svolge la catechesi pomeridiana ai reclusi ogni martedì e si occupa della distribuzione del vestiario.
Il lungo e duro periodo di stop forzato. Ma ora che la ripartenza giunge anche in carcere, ancora forte è il ricordo dei duri mesi di lockdown. «Avevamo dovuto interrompere l’eucarestia domenicale – racconta – a cui partecipavano circa una sessantina di persone, anche di altre confessioni. Da fine febbraio fino ad inizio maggio mi è stato però permesso di svolgere ogni sabato 15 minuti di preghiera per piano». Solo in un secondo momento, visto che il rischio per loro era più contenuto non avendo contatti con l’esterno, è stato concesso a don Antonio di svolgere la Messa in due turni: il sabato pomeriggio per un reparto e la domenica mattina per un altro. «Non possono partecipare più di 25 persone alla volta. Devono prenotarsi per tempo e la precedenza viene data a cristiani e ortodossi, inoltre devono entrare in cappella con mascherina e gel disinfettante, rispettando le regole sanitarie pur essendo tutti all’interno della stessa struttura carceraria». Le regole infatti sono molto stringenti, tanto che detenuti, personale e don Antonio stesso sono stati più volte sottoposti al tampone, risultando tutti negativi. Durante il periodo di Coronavirus, il cappellano era l’unico che poteva entrare in carcere ad eccezione del personale di polizia penitenziaria e di due educatori. Ai volontari di tutte le associazioni era infatti negato l’accesso: «Ad un certo punto però sono riuscito ad ottenere il permesso per un volontario che mi ha aiutato nel servizio di guardaroba, altrimenti per me sarebbe stato complicato da gestire senza la collaborazione delle suore» dice.
Un ascolto prezioso. «Andavo in carcere tutti i giorni per due o tre ore. Parlavo con i reclusi, – commenta – li ascoltavo e li confessavo. Un servizio che ho fatto volentieri. Venezia in quel periodo era spettrale: durante il percorso da casa al carcere non trovavo anima viva». Durante i mesi in cui la pandemia sembrava inarrestabile, don Antonio ascoltava le preoccupazioni dei carcerati: «Erano allarmati per le loro famiglie e i loro cari. Da marzo infatti – spiega il cappellano – il Ministero di Grazia e Giustizia ha concesso che potessero svolgere gratuitamente chiamate e videochiamate anche all’estero, molte in Marocco, Nigeria, Tunisia e Colombia. Questo servizio è ancora in atto e spero rimanga perché aiuta molto ad allentare la tensione dei detenuti». «La sommossa di marzo? Hanno capito di aver sbagliato». Poi parla del passo indietro di coloro che hanno preso parte alla sommossa del 10 marzo, quando hanno bloccato le visite in carcere di parenti e legali: «Hanno capito di aver sbagliato. La direzione si stava muovendo nei loro confronti, precedendo l’emergenza che si stava delineando all’orizzonte con concessioni, come le videochiamate. Loro hanno protestato non per una vera necessità ma per emulare quello che stava avvenendo nelle altre prigioni». Nel corso del lockdown i reclusi tutto sommato sono tuttavia stati tranquilli: «Vedevano che la società italiana era sotto pressione per i tanti divieti e si rendevano conto della situazione, le loro richieste infatti erano contenute». Un periodo difficile in cui la diocesi ha donato 10 mila euro, in parte destinati ai detenuti che non possedevano nulla e in parte per l’acquisto di elettrodomestici. «Ora che i carcerati capiscono che l’emergenza in Italia è rientrata, sono tornati a chiedere soldi e sigarette» commenta don Antonio.
Francesca Catalano