Quanto vale il partito del non voto in Italia? Vari istituti di ricerca nelle ultime settimane lo stimano in circa 15/16 milioni di italiani, quasi il 35% degli aventi diritto di voto. Quanto può pesare la comunicazione di leader e partiti in questa fase cruciale della campagna elettorale per cercare di portare le persone alle urne il 25 settembre? Mario Rodriguez, consulente di comunicazione pubblica e politica, fondatore di MR associati e docente a contratto dell’Università degli studi di Padova, fornisce una sua analisi.
Che opinione si è fatto della comunicazione politica in questa campagna elettorale?
Fino adesso è stata un’antologia di banalità, quando siamo in una fase delicatissima di cambiamento al livello mondiale. Una buona comunicazione è prima di tutto costruzione di significato, non è solo post e video su TikTok.
Quali regole ha quindi una buona comunicazione?
Se non si parte da una posizione di ascolto di chi si ha davanti, senza capire come vede il mondo, è impossibile creare una proposta che possa dare forma a delle aspettative. Ricordo le parole del cardinal Martini, durante un incontro di pubblicitari in Assolombardia: “Vi chiederete perché sono qui, ma in fondo voi e io facciamo lo stesso lavoro, io faccio pubblicità per Gesù Cristo”. Questo è un grandioso esempio di come considerare il proprio interlocutore un pari.
Mancano anche programmi elettorali forti?
I programmi non hanno mai contato granché, servono a differenziarsi, ma la realtà è complicata e si ha margine di manovra su pochi aspetti. Quello che conta è la credibilità di chi fa le promesse. Gesù era credibile non perché parlava di vita eterna, ma perché si sacrificava per gli altri. Gli indecisi oggi non si curano molto della posizione di un partito, ma della fiducia che potrebbero riporre in un leader, se la politica italiana si è focalizzata sui singoli, le organizzazioni politiche sono andate in crisi.
I simboli non contano più?
I partiti identificati con una singola persona hanno fallito e il leaderismo fine a sé stesso è in difficoltà, tutti vogliono un simbolo forte ma nessuno sembra trovare una soluzione per un’organizzazione efficace, in una debolezza di cultura politica e istituzionale, che coinvolge anche industria e giornalismo, rendendo difficile per l’Italia adattarsi al nuovo contesto, anche digitale.
Gli slogan sono tutti un invito all’azione da parte dei leader…
Fra “Scegli”, “Pronti” e “Credo” l’ultimo mi preoccupa di più, l’idea che si usi il titolo di una preghiera apostolica l’ho trovato fuori luogo, si porta nello scenario elettorale qualcosa di più grande della politica.
Cosa può fare la comunicazione contro l’astensionismo?
E’ un fenomeno di lungo periodo che non si può risolvere nei pochi giorni di una campagna elettorale estiva. Bisogna domandarsi se l’elettore attribuisce un valore al voto. Alle elezioni nazionali si va a votare più per il significato del gesto che per fare la differenza. Se i cittadini avessero possibilità di scegliere e incidere di più forse ci sarebbe meno astensione, ma l’affluenza è scesa anche alle amministrative, dove il candidato spesso lo si conosce.
Quali le cause?
La politica battibecca prevalentemente su questioni non centrali, anche perché oggi ha molte meno scelte su cui incidere rispetto al tempo di De Gasperi. Il binario su cui l’Italia si deve muovere è tracciato da Europa ed economia globale, ma di certo una legge elettorale che renda i cittadini più incisivi sulle scelte, attraverso processi più partecipativi, potrebbe aiutare. In biologia le forme di vita che non si adattano all’ambiente fanno fatica a sopravvivere e la nostra politica se continua così senza cambiare è a rischio estinzione.
Non manca anche attenzione agli ultimi in questa campagna?
Mancano i grandi catalizzatori e le grande ideologie. I poveri e le fasce più deboli prima votavano contro le paure o verso qualcosa in cui si identificavano, oggi non c’è più quel mondo, dobbiamo fare i conti con un contesto in cui non ci sono riferimenti precisi, dove ci sono pezzi di società in libera uscita. E’ una fase storica in cui le persone decidono di non esprimersi. Se non si incentiva a scegliere e controllare chi governa, però, il rischio è di “dover nominare un nuovo popolo” se questo non decide, per dirla con le parole di Bertold Brecht.
Una comunicazione vincente per interpretare i tempi?
Una comunicazione reciproca, dove si ascolta anche chi non la pensa come sé stessi, basata su autenticità e credibilità. Ma non si fa in 15 giorni, è una fatica quotidiana tessere relazioni.
Massimiliano Moschin