«Nel reparto di Malattie infettive, tra l’Angelo di Mestre e il Civile di Venezia, la somministrazione delle cure gratuite per l’epatite C procede e possiamo dire di essere a buon punto: abbiamo trattato tutti i casi più gravi, cioè allo stadio F4, in linea con il resto della regione. Sono stati circa 550 i pazienti curati nel nostro reparto per tutte le forme di epatite C con le nuove terapie da metà 2015 a oggi».
Lo afferma il dottor Sandro Panese, primario dell’équipe di Malattie Infettive dell’Ulss 3 Serenissima. «Quando parlo dei casi gravi trattati mi riferisco ovviamente a tutti quelli pregressi, dato che di nuovi continuano a emergerne. Per renderla con un’immagine, manca ancora la parte sommersa dell’iceberg, ovvero dobbiamo letteralmente ‘stanare’ le epatiti non ancora evidenziate, sia quelle gravi sia quelle in fase meno avanzate. Per farlo la Regione Veneto sta attuando un programma che punta alla eradicazione dell’epatite C dal territorio cercando di far emergere, appunto, la totalità dei casi, in stretta comunicazione con i medici di base, le strutture che si occupano di diagnostica, i centri e i servizi a contatto con la popolazione più a rischio, come penitenziari e SerD: in questo modo si amplia la rete di raccolta e diagnosi, per poi avviare velocemente i malati a terapia. È in atto un progetto ambizioso, in cui la Regione si sta impegnando in maniera estesa e profonda».
E anche i dati statistici confermano il successo delle nuove cure: «Il nostro reparto fa parte della rete veneta coordinata dal prof. Alfredo Alberti, professore ordinario del Dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università degli Studi di Padova, che raccoglie dati provenienti da tutta la regione: la percentuale di guarigioni si attesta al 95%. Non è stato ancora formalizzato un obiettivo temporale per l’eradicazione, ma puntiamo a raggiungere il risultato in due-tre anni, con un piano che abbiamo denominato ‘80-80-80’: riuscire a diagnosticare l’80% di tutte le epatiti C, avviarne rapidamente a terapia l’80% e ottenere in breve tempo l’80% delle guarigioni. Reiterando questo circuito intendiamo arrivare all’eradicazione del virus».
Una delle criticità della malattia è che agisce per anni silenziosamente, ma in modo inesorabile, se non riconosciuta: «Spesso l’infezione è nascosta e può capitare che per molti anni la persona non ne avverta sintomi. Ciononostante in quel periodo la malattia avanza, insieme ai danni permanenti al fegato, ossia la fibrosi, il processo attraverso il quale si depositano fibre di tipo cicatriziale nel fegato a causa dell’infiammazione permanente cui l’organo è sottoposto per anni e che ne scompagina la struttura. Anche una volta che eradichiamo il virus, infatti, è con la fibrosi che ci troviamo a fare i conti. Se il paziente ha una fibrosi molto lieve o nulla viene seguito per uno o due anni, passati i quali può tornare alla vita normale senza particolari controlli. Se invece si è arrivati alla cirrosi, anche quando abbiamo eliminato l’infiammazione, rimane il danno fatto, che è rilevante. Il paziente in questo caso va seguito con controlli periodici ogni sei mesi, perché uno dei rischi dell’avanzamento della malattia è il tumore».
E anche le ricadute dal punto di vista economico per il sistema sanitario nazionale iniziano a palesarsi: «È stato calcolato un risparmio a lungo termine, nei prossimi 15 anni, di 15 miliardi di euro, dietro un investimento di 4 miliardi. E i primi segnali già si vedono: le statistiche nazionali ci dicono che i trapianti di fegato iniziano a diminuire, ancora in piccole percentuali, ma che riportano comunque un dato significativo. Nei paesi dove si è iniziata la somministrazione delle cure qualche anno prima, come gli Stati Uniti, questo risparmio si nota già in modo più marcato. Un altro dato positivo è che il costo dei farmaci per il Ministero non è più caro come lo era due o tre anni fa, cosa che si traduce ancora una volta in un risparmio per il sistema sanitario. Fermo restando che, lo ribadisco, farmaci, esami e visite sono tutte coperte da esenzione: il paziente non tira fuori una lira».
E per i malati meno gravi, che attendono ancora la somministrazione della terapia, una rassicurazione finale: «Chi non soffre di una fibrosi grave deve avere un po’ di pazienza, ma, ci tengo a ricordarlo, tutti verranno curati, diamo solo la priorità ai pazienti gravi. Non facciamo preferenze di tipo personale, ma solo su base clinica».
Valentina Pinton