È tornata, più sterile che mai, la polemica sul crocifisso nelle scuole. Ma oggi perfino più di ieri viene da dire che tutti – anche indifferenti e distratti, benché ministri – dovrebbero non solo evitare di togliere la croce, ma anzi difenderne l’esposizione sui muri.
Lasciamo da parte, solo per un momento, il valore culturale e religioso della questione, e diciamo un’altra cosa. Oggi più che mai i simboli hanno un peso, un valore riconosciuto da tutti.
Da Greta Thunberg, simbolo quasi più che persona, della volontà di uscire dalla crisi ecologica, a tutti i numerosissimi segni che costellano la nostra giornata: la società attuale, per dire chi è e che cosa vuole, ricorre a qualcosa di semplice e subito riconoscibile. Qualcosa che fa capire al volo qual è la tesi e quale l’obiettivo. Il simbolo, appunto.
Perfino la politica pratica largamente il simbolo, e spesso proprio quello religioso: la scena politica recente del nostro Paese ha visto il ricorso e l’ostentazione del rosario. Perciò una proposta come quella del ministro della Scuola Lorenzo Fioramonti lascia perplessi. Innanzitutto è un autogol comunicativo. Che raddoppia essendo anche un autogol nel merito. Il ministro rilancia una tesi stantia: «Penso ad una visione della scuola laica e che dia spazio a tutti i modi di pensare».
È il ritorno di una posizione debolissima: quella che, in nome del rispetto di tutti, vorrebbe cancellare i segni della nostra cultura e della nostra civiltà. Ci si dimentica, per esempio, che la nostra capacità di rispetto si deve proprio alle radici della nostra storia e dei nostri valori. Cioè che quel rispetto si fonda anche e soprattutto sul Crocifisso.
Affiggere la croce nelle aule non significa solo fare un atto di memoria: significa raccontare il nostro presente e disegnare il progetto del nostro futuro. Proponendolo agli altri, gli stranieri fra noi in primis. Nel rispetto vero di tutti.
Giorgio Malavasi