La suora ha del potenziale inespresso all’interno della Chiesa. Lo dice una che il velo lo indossa da tre decenni. Suor Anna Martini ha passato una vita a servizio dei più deboli in giro per l’Italia.
Classe 1959, moglianese, figlia di coltivatori diretti, di carità è esperta da oltre un trentennio: prima tra i bimbi, poi tra le giovani tossicodipendenti e infine tra i poveri dei quartieri più disagiati.
«Se solo la Chiesa pensasse maggiormente che un istituto femminile è in grado di creare da solo intelligenza, volontà e scelte, capirebbe che le donne riescono eccome a mandare avanti qualcosa» assicura la suora di Maria Bambina. «Io credo che per le suore ci sia molto ancora da poter esprimere. Quello che è carente è l’ascolto dell’altra parte del mondo: quello femminile. Uno sguardo diverso rispetto a quello maschile, che ha pari dignità. Voglio dire che ciò che uno pensa non può valere di più solo perché è prete».
La sua capacità gestionale l’ha dimostrata anche a Marghera (nella foto alla mensa Papa Francesco), nei quattro anni appena conclusi come coordinatrice del Centro di ascolto Caritas. Giovedì 25 agosto scorso il ritorno al quartiere Zen: la missione educativa tra i poveri palermitani che aveva sospeso per poter seguire da vicino la mamma malata in terra trevigiana. E quattro anni sono bastati a colpire centinaia di bisognosi con il suo occhio materno e il suo agire deciso, attenta alle necessità di chiunque bussasse alla porta del centro.
È per questo, forse, che sogna ancora una Chiesa che si arricchisca dello sguardo di tutti, non solo di quello delle suore: «Vorrei una Chiesa più collegiale, soprattutto nelle decisioni pastorali, che ascolti e coinvolga tutti con pari dignità. Tante decisioni sono prese solo dai ministri ordinati. Non c’è ancora un vero coinvolgimento dei laici nella pastorale. Fanno molto ma è sempre come se si occupassero di cose secondarie».
Un coinvolgimento che si fa sempre più necessario, oltre che arricchente: ne è consapevole suor Anna quando riflette sul drastico calo delle vocazioni. Nella sua congregazione, quella delle Suore di carità delle Sante Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa, ad avere come lei meno di 60 anni sono in 52 in tutta Italia, su circa un migliaio e mezzo di religiose. Talmente poche che «negli uffici pubblici e negli autobus non sanno nemmeno più come chiamarci» constata con ironia suor Anna.
E il sospetto sulla riduzione delle religiose cade su due possibili cause: «Da una parte, nella società, la suora ha perso quell“alone sacro” che le si riconosceva un tempo. Questo è un dato culturale che non aiuta una scelta come la nostra, di donazione totale. Sono altri i valori di riferimento. I genitori fanno fatica a capire una decisione come questa, magari la figlia che vorrebbe diventare suora è l’unica figlia femmina… Ma succede anche che alcuni nuovi istituti religiosi spostino l’attenzione dalla carità all’annuncio, la catechesi, la liturgia… lasciando a lato l’esperienza del servizio alle persone» rileva la religiosa. E forse questo non avvicina le giovani aspiranti sorelle, sembra dire suor Anna: «Perché non bisogna mai dimenticare che è la carità a dare la più grande conoscenza di Gesù».
Giulia Busetto