È alto almeno 1 metro e 80, ha gli occhi verdi e se lo guardi pensi che faccia basket da sempre. Anche per il modo di parlare: calmo, concentrato, dritto al punto.
Sebastiano Dri, classe 1999, si è raccontato per Avis Venezia provando a scuotere le coscienze dei suoi coetanei, provando a sciogliere la disaffezione al dono in poche parole “vere”, come possono essere quelle di un giovane che si è salvato dalla leucemia.
Com’era la tua vita prima del 2015?
Sono nato e cresciuto a Oriago da genitori veneziani, ho praticato sport fin da piccolo: nuoto, karate, calcio per poi scegliere ed innamorarmi della pallacanestro. Ho giocato le finali nazionali under15 e disputato per diversi anni il campionato eccellenza delle diverse categorie.
E poi?
Nel 2015 la normalità della mia vita è stata sconvolta dalla diagnosi di una Leucemia linfoblastica acuta che ha richiesto 9 lunghi mesi di chemioterapia nel reparto di oncoematologia pediatrica dell’ospedale di Padova durante i quali, sostenuto dalla mia famiglia e dai miei amici, sono riuscito comunque a passare il tempo nel migliore dei modi con la possibilità anche di frequentare alcune lezioni via Skype cosa che mi ha poi permesso di esser promosso senza problemi.
Quindi nove mesi di terapie ma anche di trasfusioni?
Sì, spesso arrivavo in ospedale con il naso che sanguinava e non sapevo perché. Mi attaccavano subito una sacca di sangue o di piastrine. Ho perso il conto di quante me ne hanno trasfuse. E’ necessario che i giovani di oggi capiscano la fondamentale importanza di donare che si tratti di sangue, piastrine e ancora di più per il midollo. Sono cose che sembrano distanti da noi ma non sempre lo sono.
E poi cos’è successo?
Anche dopo la fine di questi 9 intensi mesi di terapie ho continuato a prendere delle pastiglie di chemio per altri 15 mesi che mi permettevano però di svolgere una vita tutto sommato normale fino al secondo anniversario della diagnosi, quando ho finalmente smesso di prenderle. Mi sono diplomato all’Algarotti a Venezia e mi sono poi iscritto alla facoltà di Scienze politiche, relazioni internazionali e diritti umani a Padova.
Cosa vuol dire ricevere una diagnosi del genere per un ragazzo di 16 anni?
È difficile se non impossibile descrivere le sensazioni che si provano quando ti dicono che hai un cancro. Quando in quella stanza sovraffollata da medici, seduto davanti ad una scrivania, il 25 novembre 2015 mi è stato detto che avevo la leucemia, ho visto tutta la vita presente e futura passarmi davanti. Sarei dovuto andare a fare il quarto anno delle superiori negli Stati Uniti e non avrei potuto; gareggiavo nel campionato d’eccellenza della mia categoria e non avrei più giocato; stavo frequentando il terzo anno e probabilmente non sarei più potuto andare a scuola.
E poi come hai fatto a ricominciare a combattere?
Nel mio caso, la chiave di volta è stata la velocità con la quale ho metabolizzato la notizia. Era una sfida, una partita, una finale che la vita mi aveva posto davanti e nella quale, andando per esclusione, l’unica soluzione possibile era vincere. Ho iniziato a pensare come se nulla fosse accaduto. I day hospital per le chemio avevano sostituito la scuola nella routine, ma non per questo avevano cambiato la mia mentalità. Non ho mai visto la leucemia come un’interruzione della mia esistenza, ma come una fonte di ricchezza dalla quale ho estratto ogni briciola di positività che c’era da tirare fuori.
Ad esempio?
Il cancro mi ha insegnato ad apprezzare di più ogni singolo elemento della vita, a distinguere ciò che è necessario da ciò che è superfluo o tempo perso. Mi ha insegnato ad arrabbiarmi molto meno e a non lamentarmi. Nel mondo che vorrei mi piacerebbe che non servisse una simile esperienza per imparare queste cose.
Cosa speri ora?
Il 25 novembre 2017, due anni esatti dopo la diagnosi, ho preso quelle che spero siano le ultime pastiglie di chemioterapia della mia vita. La parola “guarito” non è ancora stata usata ma sono a buon punto. Oggi sono passati 2 anni e 4 mesi e la mia vita è molte volte più bella rispetto a prima della malattia. Con la differenza fondamentale che grazie al cancro, ho imparato come va vissuta.
Alice D’Este