Giochiamo che eravamo a scuola. Giochiamo che nostro figlio Filippo, da una scuola mestrina in qualche modo funzionante in tempo di Covid, torni a casa e non si senta tanto bene. La temperatura è sopra i 37,5 gradi, Filippo ha tosse e raffreddore, dispnea, oppure diarrea o anche uno solo di questi sintomi. Chiamiamo subito il pediatra: «A meno che i sintomi non siano diversamente riconducibili, ad un broncospasmo per esempio, dobbiamo considerarli altamente sospetti – conferma il dottor Vito Francesco D’Amanti – a quel punto il pediatra sarà quasi certamente tenuto a far denuncia alla Centrale operativa territoriale a cui comunicherà i sintomi del bambino, la classe che frequenta e la necessità del tampone. La centrale avviserà l’Ufficio di Igiene e Sanità Pubblica che in tempi si spera rapidi procederà con il tampone. Se questo sarà negativo il problema non si porrà. Se sarà positivo, o comunque durante l’attesa dell’esito, il bambino e la classe saranno sottoposti a tracciamento». Tradotto, staranno a casa il bambino e anche i suoi compagni fino all’esito del tampone. La conclusione, temibile e terribile, è d’obbligo: «Se il sistema sarà in grado di funzionare rapidamente il problema non si porrà e assicuro che è fattibile. Proprio in questi giorni un mio piccolo paziente inviato al Pronto Soccorso di Padova ha ottenuto l’esito del tampone in quattro ore. Se invece – continua il dottor D’Amanti – l’esito arriverà dopo 6 o 7 giorni, avremo un’intera comunità scolastica completamente bloccata».
Tampone in tempi rapidi? Vito Francesco D’Amanti, Segretario provinciale degli 85 pediatri veneziani della Fimp – Federazione Medici Pediatri, delinea questo scenario con parole ferme. «Non esistono ad oggi provvedimenti certi per il rientro a scuola, occorrerà un Decreto del Presidente del Consiglio e successivamente una circolare del Ministero della Salute e un’altra regionale, ma quello che è ho descritto è un possibile scenario. Con tre tipologie di casi che i pediatri potranno valutare con diagnosi telefoniche: il caso sospetto, il caso confermato o il contatto stretto. In ciascuno dei tre si prevede l’isolamento. L’esecuzione del tampone e la risposta in tempi rapidi ci consente di non bloccare una collettività. A Padova i test si facevano a migliaia. Il mondo è ancora in lockdown – continua il dottore – il 40% dei malati è asintomatico, non dobbiamo abbassare la guardia».
Sono gli adulti ad infettare i bambini. La notizia buona, in quello che nell’autunno del Covid non sarà affatto un gioco, è che il contagio per i bambini si conferma sempre dai risultati limitati. «Abbiamo portato avanti un piccolo studio – continua il dott. D’Amanti – su 330 tamponi effettuati sui bambini di Mestre, Venezia, Dolo e Mirano fino a maggio, 8 sono risultati positivi, di questi sei erano bambini i cui genitori erano positivi. Questo ci dice che sono gli adulti che devono dare l’esempio lavandosi le mani, usando le mascherine, mantenendo il distanziamento». Un’indicazione, quest’ultima, utile anche in tempi di riavvicinamento sociale per i più piccoli, che da alcune settimane hanno ricominciato a frequentare parchi e centri estivi: «Io consiglio ai genitori la mascherina e i bambini che giochino pure, se la famiglia sta bene molto probabilmente anche il bambino sta bene. I casi in cui il bambino possa essere asintomatico sono molto rari».
La mascherina sì. E a scuola allora? Alcuni dirigenti scolastici hanno già acquistato visiere per insegnanti e il metro per misurare banchi e aule, visto che le recenti linee guida affidano a loro la responsabilità di valutare numeri e spazi. «I contagi oggi avvengono in famiglia, ma per questo motivo sarà raccomandabile l’utilizzo anche a scuola di mascherine, per gli insegnanti di certo, meglio anche per i più piccoli – afferma il pediatra – una FPp2 certamente crea problemi di respirazione, ma una normale mascherina chirurgica o in tessuto lascia respirare tranquillamente». Insomma, non facciamoci troppe illusioni, il ritorno alla scuola normale ci sarà, ma si tratterà di una normalità ben diversa. «La scuola ha una funzione educativa e questo è il momento migliore per educare i ragazzi al rispetto dell’altro. Metto la mascherina non perché ho paura di chi mi sta vicino, ma perché lo voglio proteggere. E’ un atto di altruismo – conclude – a questo dobbiamo educare anche i più piccoli».
Maria Paola Scaramuzza