A volte, la cosa più bella che possiamo regalare agli altri è la gioia di un sorriso, che è tanto più prezioso quando è l’unico spiraglio di luce in mezzo a una situazione difficile, per non dire talvolta drammatica.
Lo hanno imparato sulla loro pelle i volontari delle Rete per la Pace – Riviera del Brenta, che nelle scorse settimane hanno ospitato per qualche giorno una cinquantina di ragazzi ucraini e una decina di giovani palestinesi. A raccontare questa esperienza sono Paolo, Lucia e Vittoria, i tre referenti di questo imponente progetto: «La cosa più straordinaria per noi è stato vedere la felicità e la serenità che traspariva dai loro giovani sguardi», dicono senza troppi giri di parole. «Spesso nemmeno immaginiamo la frustrazione, la paura o addirittura la rassegnazione che si possa provare quando la libertà ti viene negata o resa difficile da checkpoint e bombardamenti. Ci ha commosso infine vederli ballare insieme, palestinesi ed ucraini, le musiche degli uni e degli altri durante la festa finale. Secondo la geopolitica dovrebbero odiarsi per l’intreccio di appoggi di governi tra loro opposti ma in una settimana, rotti gli indugi e superati alcuni pregiudizi indotti, si sono riconosciuti appartenenti alla stessa umanità, nella stessa condizione di vittime».
Una settimana gioiosa, quindi, ma anche densa di impegni
«Le attività più belle sono state quelle vissute all’aria aperta come la gita sul Col Visentin e in laguna, anche se altrettanto importanti, in modo diverso, sono stati gli incontri che i nostri giovani ospiti hanno realizzato con i loro coetanei nelle scuole superiori di Dolo e Venezia (circa 400 studenti) e nelle comunità locali. Importanti perché rispondevano ad una loro precisa richiesta: testimoniare di persona, con la loro esperienza, la dura e pericolosa realtà che stanno vivendo nei loro rispettivi territori».
Inoltre, l’esperienza di ospitare i ragazzi nelle famiglie ha permesso di intessere legami significativi, come testimoniano gli organizzatori: «In poche ore ci siamo riconosciuti come fratelli e sorelle di questo mondo, con gli stessi desideri e necessità di relazioni umane arricchenti. I ragazzi poi sono stati accolti in famiglia nel migliore dei modi, l’affetto e le attenzioni loro riservate sono arrivate dritte ai loro cuori. Anche nei casi dove non c’era la possibilità di parlare una lingua comune la relazione umana ha avuto il sopravvento e ha abbattuto ogni barriera linguistica, culturale, generazionale».
Infine, riflettendo sui motivi di questo successo, Paolo, Lucia e Vittoria sono concordi: «La chiave di successo di questo progetto è stata la relazione, cercata e ricambiata a tutti i livelli. Conoscere attraverso le relazioni: questa è la linea guida sulla quale abbiamo lavorato fin dall’inizio. Abbiamo scelto di non essere solo spettatori di queste realtà di guerra, come accade normalmente quando veniamo in contatto con le notizie orribili e ingiuste attraverso i media e la tv: la relazione trasforma il proprio modo di porsi di fronte alla realtà, apre ad un diverso modo di conoscere, capire, trovare il modo di aiutare chi si trova a subire le conseguenze della guerra sulla loro pelle, sconfiggendo il senso di impotenza che pervade ciascuno di fronte a questi eventi così grandi».
Andrea Maurin