«Disuguaglianze e disparità socio-economiche cambiano il volto delle democrazie moderne minando, in ciascuno di noi, la possibilità di compartecipazione». Tradotto: più la società è frammentata e le ingiustizie dilagano, più i processi di democrazia traballano portando in dote altre disuguaglianze e una società incapace di essere comunità. Questioni ampie, complesse e interdisciplinari che in un mondo globalizzato ci coinvolgono ogni giorno di più e su cui ha cercato di far luce l’incontro dal titolo “Disuguaglianze e democrazia. Riflessioni a partire dai dati”, tenutosi venerdì 7 marzo al liceo “G. Berto” di Mogliano Veneto. Organizzatori l’associazione Soms e il Circolo “Galileo Galilei”, in collaborazione con Officina 31021, nell’ambito di un ampio ciclo di appuntamenti (altri tre quelli in programma, fino al 4 aprile). Relatore della serata è stato il professore Davide Girardi, dottore di ricerca in Sociologia e responsabile dell’osservatorio Giovani e Futuro dell’università Iusve.
I “Paperoni” del mondo sempre più ricchi. La riflessione ha preso il via dall’analisi dei dati: secondo il rapporto “Povertà ingiusta e ricchezza immeritata” del 2024, a cura di Oxfam, la forbice della disuguaglianza economica si è allargata. Basti pensare a Elon Musk, patron di X e Tesla, il cui patrimonio è cresciuto negli ultimi dodici mesi del 31% superando i 330 miliardi di dollari. Più “povero” il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg con un patrimonio di quasi 200 miliardi di dollari. Per accumulare la ricchezza di uno dei dieci Paperoni del pianeta non basterebbero cento vite ma nemmeno prendere la macchina del tempo: «È stato calcolato – dice Girardi – che una persona non raggiungerebbe il loro reddito nemmeno risparmiando mille dollari al giorno, a partire da 315 mila anni fa ad oggi». Di contro, il 44% della popolazione mondiale vive con meno di 6,8 dollari al giorno.
Nel nostro Paese, poi, il 10% dei cittadini possiede quasi il 60% della ricchezza nazionale; il 50% più povero ne possiede solo il 7. E negli anni l’Istat ha certificato l’aumento della povertà assoluta: quasi il 10% delle famiglie ha difficoltà a mangiare un pasto caldo o a scaldarsi d’inverno. Vittime di questo sistema le categorie più deboli e fragili come le famiglie del Mezzogiorno, i nuclei numerosi e chi ha un basso livello d’istruzione. Guardando al lavoro, diritto posto a fondamento della Repubblica Italiana, non ha più senso parlare di teste occupate in un dato settore: «Il lavoro – continua il professor Girardi – non è più autosufficiente per contrastare le dinamiche di povertà. Serve riflettere in termini di qualità».
Dati oggettivi che ci permettono, dunque, di riflettere di disuguaglianze in relazione ai processi democratici: «Il tema da rimettere al centro del dibattito pubblico – spiega Girardi – è che stanno venendo meno le condizioni per far sì che chi ha di più e chi ha di meno si sentano compartecipi di un destino comune». Quindi, tenendo a mente che viviamo in un contesto internazionale, in cui quello che accade dall’altra parte del mondo ha conseguenze dirette anche nel qui e ora, «serve tornare a ragionare di politica redistributiva e di uguaglianza effettiva, superando la logica emergenziale, di risposta nel breve periodo».
Distanze tra cittadini sempre più ampie. Invece, attualmente, si va in direzione esattamente contraria: le società sono sempre più divergenti e la distanza fra «cittadini centrali» e «cittadini marginali» (gli immigrati ma anche le donne, il cui tasso di partecipazione al mercato del lavoro è fra i più bassi d’Europa) ancora più evidenti.
Il Veneto, per decenni locomotiva d’Italia, è ancora fra le regioni più performanti in termini di lavoro e di welfare state ma ha perso un po’ di smalto: «Oltre a condividere con il resto d’Italia un problema demografico gravissimo, con sempre meno giovani e tanti laureati che scelgono di andare all’estero – prosegue Girardi –, siamo poco presenti nei settori ad alto valore aggiunto e abbiamo aziende innovative “ferme” in un contesto economico-produttivo intermedio».
La politica è chiamata a una sfida forse titanica ma necessaria per ricucire gli strappi e salvaguardare la democrazia: «C’è un tema importante di qualità della classe dirigente e politica italiana – conclude Girardi –. Di fronte alla complessità di queste tematiche serve una risposta chiara, non banale, non riduzionistica. L’indicatore dell’astensionismo, a questo proposito, è abbastanza eloquente».
Anna Maselli
(foto Stefano Gili)