Sono per lo più giovani, professioniste preparate, attente alla formazione continua, propense a fare rete e attente alla gestione del proprio tempo. Si tratta delle lavoratrici con partite Iva senza albo e senza ordine, in larga misura operanti con regime forfettario nei settori del terziario avanzato (commercio, logistica, turismo e servizi), con formule contrattuali non assimilabili a quelle del lavoro parasubordinato. Un esercito di professioniste quasi raddoppiato in 8 anni, stando ai dati Inps del dicembre 2023, arrivato a contare 20.111 unità in Veneto.
Il fenomeno, in forte crescita anche a livello nazionale, è stato preso in esame dalla Commissione Regionale Pari Opportunità del Veneto che ha richiesto ad Asvess (Associazione Veneta per lo Sviluppo Sostenibile) di effettuare una ricerca su questo segmento del mercato del lavoro, con particolare attenzione alle donne che scelgono il lavoro autonomo e la partita Iva come soluzione adatta all’inserimento nelle filiere del settore Terziario. I dati raccolti attraverso l’archivio Inps – unica fonte a proposito delle partite Iva senza albo e senza ordine – hanno acceso un primo spiraglio di luce su questo fenomeno, ancora marginale ma ricco di implicazioni sul futuro dell’economia regionale e destinato ad aumentare notevolmente; basti pensare che le partite Iva di nuova formazione nella Regione Veneto sono passate complessivamente da 27.441 posizioni nel 2015 a 42.540 nel 2023, con un fatturato totale che si avvicina agli 850 milioni di euro. Metà di queste nuove partite Iva sono donne.
Asvess non si è tuttavia limitata ad analizzare i dati Inps. Ricorrendo infatti a due focus group su un campione di professioniste tra i 27 e i 54 anni con partite Iva in ambito non ordinistico, l’Associazione è riuscita a indagare qualitativamente i modelli organizzativi adottati, le ragioni della scelta del lavoro autonomo rispetto a quello alle dipendenze, i vantaggi e le criticità di tale scelta. E sono almeno due gli elementi di maggior interesse emersi. Il primo, abbastanza sorprendente, riguarda il reddito, che è obiettivo secondario rispetto non solo alle condizioni di organizzazione del lavoro, ma anche alle aspettative di sviluppo professionale e sociale del campione preso in esame. Il secondo riguarda invece l’opzione di aprire una Partita Iva, decisione che sembra non più riconducibile a criticità connesse al mercato del lavoro ma ad una scelta consapevole e autonoma, dettata da una precisa strategia delle forze di lavoro femminili, all’interno del settore Terziario.
Conciliare vita e lavoro. La decisione di intraprendere tale soluzione professionale risiede tuttavia anche nella necessità di fornire assistenza ai propri cari. La quasi totalità delle donne intervistate nei focus group infatti, oltre a manifestare la volontà di perseguire, in virtù della propria scelta lavorativa, una migliore conciliazione fra vita personale e lavoro, ha assunto o è stata costretta ad assumere il ruolo di caregiver familiare molte nei confronti di figli non ancora autonomi e alcune anche di genitori anziani. Anche per questo molte di queste professioniste lavorano da casa, in rete con altre professioniste, con cui condividono dinamicità e flessibilità.
Rimane invece irrisolto il nodo della retribuzione. I dati relativi al reddito pro-capite confermano purtroppo il gender pay gap anche nelle partite Iva: le lavoratrici autonome percepiscono infatti un reddito inferiore di ben 7.000 euro annui, rispetto agli uomini, e dispongono di un compenso mensile “parificato” di poco superiore ai 1.200 euro. In termini percentuali si tratta di una differenza allarmante del -30%, che non si attenua con il crescere dell’età.
«I dati rilevano come sempre più donne, soprattutto giovani, scelgono la partita Iva che può garantire – come desiderato dalle giovani generazioni – la possibilità di cogliere una pluralità di opportunità, una più autonoma gestione del proprio tempo e una migliore conciliazione famiglia lavoro», sottolinea Silvia Oliva, economista, docente di Teoria delle Organizzazioni presso l’Università di Padova. «Questa forma di lavoro, se supportata e maggiormente tutelata, può rappresentare uno strumento per ampliare la partecipazione al mercato del lavoro da parte delle donne, migliorando la loro indipendenza economica e il benessere della famiglia».
Una opportunità in linea con gli obbiettivi che si è dato anche il Veneto visto che, come sottolinea Valeria Mantovan, assessore Istruzione, Lavoro, Formazione e Pari Opportunità, la Regione mira a «costruire un mercato del lavoro più giusto dove ogni donna possa affermarsi e contribuire allo sviluppo sociale ed economico della nostra Regione. Continueremo su questa strada, investendo in formazione e promuovendo strumenti che garantiscano equità e opportunità per tutti».
Stefano Nava