A quattro anni dal suo rapimento, ripubblichiamo qui l’intervista rilasciata a Gente Veneta da padre Paolo Dall’Oglio. Un’intervista raccolta a Mestre poco più di un mese prima del drammatico episodio.
Padre Paolo Dall’Oglio dice di rifarsi a ciò che anche il Catechismo della Chiesa cattolica accetta: l’uso della forza come estrema soluzione per scongiurare una tragedia peggiore. <Io chiedo che all’opposizione siriana arrivino armi: missili antiaerei e missili anticarro che consentano di ribaltare la situazione militare, così da separare i contendenti per riaprire i ponti del negoziato costituzionale>.
Il gesuita Paolo Dall’Oglio parla al Laurentianum di Mestre, invitato da Magis, l’associazione volontari terzo mondo, per raccontare la tragedia in corso in Siria e per dire la sua proposta.
Romano con avi a Mantova, padre Paolo Dall’Oglio, 58 anni, gesuita, è il monaco di Mar Musa. Mar Musa, a quasi cento chilometri da Damasco, nel deserto, è un antico monastero, costruito dai monaci cristiani nel VI secolo e divenuto splendente durante tutto il medioevo, per poi cadere in disgrazia.
Nel 1982 vi fa tappa il giovane Dall’Oglio, religioso gesuita ma non ancora sacerdote, desideroso di trascorrervi dieci giorni di ritiro dopo aver accompagnato il direttore della Caritas internazionale a vedere gli orrori della guerra in corso tra Israele e arabi in Libano. <Vi arrivai di notte – ricorda – e trovai una chiesa con un tetto di stelle, con affreschi alle pareti che mi guardavano, abituati a visite di vandali piuttosto che di devoti>.
Il mattino dopo, in compagnia dell’unico essere vivente dei paraggi, un grande gufo, padre Paolo sente che l’innamoramento per Mar Musa è grande e definitivo: <Era come aver scoperto il corpo adatto per incarnare alcuni desideri di fondo della mia vita>.
Quali desideri? <La contemplazione, che non è fuggire, ma dal deserto attirare la società e il mondo verso un oltre. Poi la fisicità del lavoro manuale, che ha permesso di ricostruire il monastero e di farlo diventare un luogo di preghiera e ospitalità. Infine la possibilità di avere un luogo adatto alla prospettiva della relazione islamo-cristiana>.
Ma l’oggi ha a che fare con la tragedia siriana. E si incarna in una proposta, che desidera mettere una ad una guerra civile che in due anni ha già causato 90 mila morti e un milione di profughi, per non parlare delle distruzioni e delle rovine economiche di un Paese che pareva uno Stato solido.
<I siriani rivoluzionari e democratici – riprende padre Dall’Oglio – non vogliono un intervento diretto della Nato né l’occupazione occidentale: voglio ricevere le armi necessarie per bloccare l’aviazione e i carri armati di Assad e dei miliziani Hezbollah. Questo consentirebbe la creazione di un equilibrio. Nel senso che che, laddove il regime ha una base sociale solida, non ha bisogno di carri armati per difendersi. Quando c’è parità sul terreno, sul piano della coerenza sociale di adesione ad un progetto, la rivoluzione si ferma. Ovvero: dove cominciano le colline alauite, quelle dove abita la comunità di cui fa parte Assad – e gli alauiti non combattono per il regime ma per salvare se stessi – la rivoluzione non riuscirà a penetrare. La rivoluzione penetra dove c’è lo spazio sociale e culturale del cambiamento. Questa strategia consentirebbe una pacificazione sulle linee di frattura etnica e un negoziato con l’Onu per una Costituzione che rimetta insieme il puzzle siriano>.
Ma che cosa frena una soluzione del genere? La tentazione – risponde il gesuita – da parte delle forze neo-conservatrici, forti soprattuto in Israele e negli Usa, di mettere in gioco un piano machiavellico: <C’è – parlo dei caimani della palude globale – chi ha teorizzato l’utilità per l’Occidente di una lunga guerra civile in Siria. Sì, perché questa è la più economica delle vittorie per il mondo occidentale contro il pericolo islamico>.
Da ciò la paralisi delle decisioni di Stati Uniti ed Europa. Un piano machiavellico e sfrontato sul piano etico, se davvero fosse così: <Perciò – rimarca il religioso – io e tanti altri chiediamo il risveglio del senso civile e democratico: se non tende a diventare globale, la democrazia si svuota di significato. E quando il mondo è incoerente sul piano democratico, crea l’occasione per chi non ha cultura democratica di confermarsi nell’idea che la democrazia è una pagliacciata e che la verità del mondo è il potere brutale. La Siria è la grande occasione per cambiare rotta>.
E i cristiani italiani cosa possono fare? <Io ho proposto che, in occasione del prossimo Ramadan, che comincia in luglio, i cristiani partecipino, digiunando ma soprattutto nella preghiera e nell’empatia, per la pace tra i musulmani. Lo slogan è: “Pace nell’Islam, pace della Chiesa”. Perché, se l’Islam è diviso e fa la guerra, è chiaro che i cristiani che vivono in quelle terre se ne devono andare. Tra morte e distruzione>.
Giorgio Malavasi