Oriago ha da oggi un record: quello di ospitare la prima casa passiva del Veneziano. È quella appena costruita in via Ghebba 103, a poca distanza dalla rotatoria di intersezione fra la strada provinciale e il centro di Oriago.
Una casa che si basta da sé. Casa passiva, ovvero un’abitazione che non ha bisogno – o quasi – di apporti di energia. Si basta da sé: tant’è vero che non ha caldaia né termosifoni né pannelli per il riscaldamento e raffrescamento a soffitto o a pavimento.
Per scaldare d’inverno bastano il sole e il calore emesso dagli elettrodomestici e dagli stessi abitanti. Per raffrescare d’estate bastano il sole (sembra un paradosso ma non è così) e l’isolamento.
La casa passiva, insomma, non è più prerogativa della Germania o dell’Austria, dove questo standard di costruzione è diffuso (avviato quasi trent’anni fa, si stima che siano circa 40mila gli edifici con queste caratteristiche). Anche in Italia, anche nel Veneziano, si può fare. E conviene da più punti di vista: «Anche nel costo», dicono all’unisono la progettista, l’architetto Denise Tegon (nelal foto qi sotto), e la famiglia committente: «Costruire una casa passiva costa oggi come costruirne una in classe B, cioè tra i 1300 e i 1400 euro al metro quadro, chiavi in mano. Solo che la casa passiva costa un quinto o anche meno nella gestione».
Sul tetto un “tappeto” di piante grasse: «Non c’è bisogno di alcuna manutenzione». In via Ghebba, a Oriago, si è costruito ex novo. L’edificio è su due piani, di circa 110 metri quadri ciascuno: al pianterreno stanno un ampio garage, un magazzino e il locale degli impianti; al piano superiore l’appartamento.
La casa passiva oriaghese ha un “cuore” e una “pelle” di grande importanza. Semplificando all’estremo, per intenderci: la “pelle” è fatta di una muratura in forati riempiti di materiale isolante, mentre il rivestimento è un “cappotto” in pannelli da 22 centimetri di polistirolo. Sul tetto i pannelli sono spessi 26 centimetri, ai quali si somma uno strato di 3 centimetri di lana mineralizzata.
Sopra a tutto ciò ci sono dai 15 ai 18 centimetri di terreno vegetale, che ospitano piantine grasse (anzi, si usa una varietà di sedum, una succulenta). Così si fruisce del tetto verde, che aumenta l’isolamento, specialmente d’estate. «E non c’è bisogno di alcun tipo di manutenzione», garantisce l’architetto Tegon: «Le acque piovane vengono drenate e ci sono delle piccole vasche di accumulo. Non c’è bisogno di annaffiare né di fare altro».
Una parte della superficie del tetto è invece coperta da pannelli solari: fotovoltaici quanti ne bastano per avere una potenza di 6 kW; e termici per contribuire a scaldare l’acqua sanitaria.
Due tubi in tutto: per immettere e estrarre l’aria, 24 ore su 24. Sotto alla “pelle” c’è il “cuore”. Ovvero il locale degli impianti. Apparentemente molto meno complicato rispetto alle case tradizionali, dove a volte si trovano intrichi enormi di tubi. «Qui – riprende l’architetto – non c’è caldaia né la casa è allacciata alla rete del gas. Ci sono invece solo una pompa di calore e la ventilazione meccanica controllata, cioè un sistema di ventilazione che ricambia continuamente l’aria interna, la riscalda o la raffresca a seconda delle stagioni, e con lo stesso impianto si produce anche l’acqua calda sanitaria».
In sostanza, tutto si riduce a due tubi che, 24 ore al giorno, per 12 mesi all’anno, ricambiano l’aria interna. Uno immette aria, l’altro la estrae. In ogni stanza ci sono due bocchette: una in basso per l’immissione, l’altra in altro per l’estrazione. Stop.
«L’aria – spiega Denise Tegon – d’inverno viene prelevata dall’esterno. Ma il bello è che che la ventilazione meccanica ha un doppio flusso: scambia il calore dell’aria viziata in uscita con l’aria fredda in entrata. Per cui c’è un primo riscaldamento. Poi tocca alla pompa di calore fornire all’aria il resto del calore, ma si parte già da almeno 17 gradi, non dall’aria fredda. Quindi c’è bisogno di molto meno energia. Tant’è vero che la pompa di calore installata qui è da 6 kW, mentre una caldaia per una casa di pari metratura occorre da 25-30 kW».
Guasto d’inverno? «Si fa una festa e la casa si scalda». E se si guasta la pompa di calore, magari nei gironi più freddi di gennaio? «Facciamo una festa – scherza, ma non troppo, la progettista – e con la sola presenza delle persone si scalda la casa quanto basta».
In estate, poi, il sistema funziona alla rovescia. E si avvale anche di schermature frangi-sole, che riducono l’apporto termico.
Per rimanere al solo aspetto economico, una casa passiva così consente di ridurre al minimo, appunto a 200 euro, cioè 60 centesimi al giorno – il costo dell’elettricità che si deve acquistare dalla rete. Ma se poi si pensa che in parecchie ore della giornata c’è un surplus di elettricità prodotta dai pannelli sul tetto, che viene venduta alla rete, si può ben dire che la casa passiva di Oriago è a costo zero.
E il vantaggio per l’ambiente, in termini di anidride carbonica e gas inquinanti non emessi, inizia da subito e si protrae per tutta la vita dell’edificio.
Giorgio Malavasi