Quando sarà certificata, tra pochi mesi, quella della famiglia Zuin a Borbiago di Mira sarà la prima casa passiva italiana, frutto di una ristrutturazione. Le non moltissime altre case passive nella Penisola sono tutte nuove costruzioni.
È una scommessa ormai quasi vinta: far sì che non solo le case costruite ex novo, ma anche quelle recuperate raggiungano livelli di altissima efficienza energetica e di emissioni nocive pari a zero (o quasi).
Niente caldaia né termosifoni. A Borbiago, in questi giorni, c’è un gran fervore di lavori. Ma non è più quello dei muratori e degli impiantisti: è quello degli arredatori e degli imbianchini. La cucina c’è già, altri mobili stanno arrivando e presto la famiglia proprietaria abiterà in questa primizia.
La metamorfosi è grande: l’edificio è una trifamiliare contadina degli anni Trenta, di 200 metri quadrati, su cui finora non si era mai intervenuti. Non aveva neppure sistema di riscaldamento, ma solo una stufa economica.
Adesso è quasi diventata una casa che non ha bisogno della caldaia né dei termosifoni e che funziona con (poca) energia elettrica, perlopiù avuta in dono dal sole; poi serve anche un po’ di energia termica, chiesta alla terra. E basta. Niente gas né gasolio né altri combustibili fossili; per il gas non c’è neanche l’allacciamento. E non servono neppure biomasse: niente stufe a pellet e niente caminetti a legna.
Basta un po’ di corrente elettrica, quella che accende una lampadina da 60 watt. Così si scalda d’inverno, si rinfresca d’estate e si produce acqua calda per la doccia o per lavare i piatti. Con l’attesa di molto comfort abitativo.
È questa la scommessa della casa passiva, che non è un’esclusiva per la Germania o l’Alto Adige. E che anche in Veneto, invece, può prendere piede.
La casa passiva non è un gioiellino per ricchi. Il costo a metro quadro di una ristrutturazione che porta alla casa passiva è di 1600-1700 euro al metro quadrato, del tutto simile a quello di una ristrutturazione con metodiche e tecnologie convenzionali. Il che si deve al fatto che gli impianti tradizionali sono pressoché azzerati; così quel risparmio è compensato da un maggior costo dei materiali isolanti.
Per giunta ci sono i vantaggi fiscali: la detrazione fiscale del 50% per le ristrutturazioni (fino ad un importo di 96mila euro) e quella che arriva al 70 e anche all’80% per interventi di adeguamento contro i terremoti.
A Borbiago si è fatto tutto ciò: lo sottolinea Denise Tegon, l’architetto che ha curato tutto l’intervento dal punto di vista termico-energetico, fino al conseguimento dello standard di casa passiva (il progetto è invece del geometra Piero Martarello).
«L’abbiamo resa più stabile dalle fondamenta», spiega l’architetto, che sta ultimando un’altra casa passiva, ma di nuova edificazione a Oriago: «Taglio termico alle fondamenta, con materiale che ha una trasmittanza molto bassa e ferma la risalita dell’umidità. Abbiamo introdotto pilastri nuovi, reso strutturali gli archi e rifatto il tetto con un’intelaiatura antisismica».
«Non si sentirà più il bisogno di aprire le finestre». Poi si è messo mano all’isolamento: 20 centimetri di materiale isolante a pavimento, 26 di pannelli alle pareti, 30 al tetto. Poi si è lavorato di fino per ridurre o azzerare i ponti termici.
Quindi i serramenti: tutti in legno con triplo vetro. «In legno – precisa Denise Tegon – perché la casa è notificata presso la Sovrintendenza ed è perciò richiesto di non usare il pvc».
Questa cura per l’isolamento termico e per la tenuta all’aria ha fatto sì che si sia raggiunto un livello molto basso, circa metà di quello prescritto dal Passivhaus Institut, l’ente di Darmstadt che a breve certificherà l’immobile di Borbiago.
Infine il “motorino” che serve per scaldare e rinfrescare e rendere confortevole l’abitare: una pompa di calore collegata a un sistema di ventilazione meccanica, che consente un continuo ricambio d’aria: «Tanto – sostiene l’architetto – che, pur potendo aprire normalmente le finestre, non se ne avvertirà più il bisogno».
È l’unico impianto della casa. La ventilazione porta aria in tutti i locali tramite due fori: uno a trenta centimetri dal pavimento per l’immissione di aria nuova e uno a 30 centimetri dal soffitto per l’estrazione di quella viziata: «Il sistema è silenzioso e a bassissima velocità: se si mette un foglio di carta davanti al foro, il foglio non si muove».
Il “cuore” è una piccola pompa di calore, che non arriva a 2 kW di potenza (una caldaia a gas per una abitazione di cento metri quadri è, mediamente, sui 25 kW). Spiega l’architetto Tegon: «È un aggregato compatto che fa tutto: riscalda, raffresca e produce acqua calda sanitaria».
La pompa di calore, che ha già un rendimento alto, trova ulteriore sostegno grazie ad un impianto geotermico orizzontale. In sostanza, anziché scavare in profondità, a Borbiago il tubo in serpentina è stato posato appena un metro sottoterra, dove la temperatura è già costante tutto l’anno, attorno ai 12°.
La casa “funziona” con mezzo caffè al giorno. In un’area di cinque metri per uno, è stato posizionato un tubo che consente un’operazione vantaggiosa: d’inverno riscalda l’aria esterna prima di farla entrare nella pompa di calore, riducendone il lavoro. D’estate fa il viceversa: quindi, anche se c’è il solleone e ci sono 30°, l’aria, passando sottoterra, si rinfresca a 12° prima di essere distribuita all’interno dell’abitazione grazie alla ventilazione motorizzata.
Tutto questo impegno ha bisogno di un po’ di energia elettrica. Di giorno e quando c’è il sole sono più che sufficienti i 6 kW di potenza dei pannelli fotovoltaici sul tetto. Di notte si fa ricorso alla rete elettrica. Ma i costi di gestione – prevede l’arch. Tegon – si aggireranno sui 60 centesimi di euro al giorno.
Giorgio Malavasi