È morto nella prima mattinata di domenica 10 dicembre, a 94 anni, mons. Antonio Riboldi. Era stato la voce dei terremotati del Belice, in Sicilia, alla fine degli anni ’60.
Poi divenne vescovo di Acerra, in Campania, dal 1978 al 2000. E il suo impegno cristiano contro la camorra fu costante.
Ripubblichiamo un’intervista da lui concessa a Gente Veneta nel 2003, ospite della parrocchia veneziana dei Frari.
«In questo periodo di paura, dovunque mi invitino mi chiedono di parlare di speranza». Così si presenta, nella basilica dei Frari a Venezia, mons. Antonio Riboldi, il vescovo che ha combattuto la mafia nel Belice («dove fui chiamato perché il parroco si era sposato con la figlia del boss locale») e la camorra ad Acerra, la cittadina campana della cui diocesi è vescovo emerito.
Più di duecento persone lo ascoltano in Basilica. E Riboldi ne osserva le espressioni, li richiama continuamente all’attenzione, ripete spesso: «Vi vedo troppo seri stasera». Per questa ragione alterna momenti di riflessione profonda al racconto degli insoliti casi della sua vita. Come quando parla della centralità «che una volta aveva e dovrebbe avere oggi» il Battesimo.
Così racconta il suo: «Quella volta mio padre, per festeggiare, alzò un po’ il gomito e tornando a casa non si accorse neanche che io scivolai via dalle bende e caddi sulla neve. Quando arrivò da mia madre le porse soltanto delle fasce vuote, il bambino non c’era più. Ma mi trovarono poco dopo, e sono ancora qui».
Poi affronta i grandi temi di attualità: «Il cristiano deve scegliere tra bene e male; c’è una tendenza preoccupante a dire “nì”; il cristiano deve purificarsi, convertirsi lui prima di pretendere qualcosa da altri». Durante «questa Quaresima distratta dal mondo» il vescovo invita «a ritornare all’uomo, che è alla pari di Dio, suo commensale», a capire che il motivo della creazione è «conoscere e amare Dio», e ritrovare «la meraviglia del creato, l’impronta di Dio in ogni foglia, in ogni frutto».
E poi, ancora la storia della sua vita: la sua povera Brianza, la madre («pensate all’amore di una madre e riflettete su cosa dev’essere allora l’amore di Dio per ogni singolo uomo»), l’incontro con il cardinale Schuster, la vocazione, gli studi dai Rosminiani («gli unici che mi vollero anche se io, poverissimo, non potevo permettermi quel materasso per dormire che gli altri ordini richiedevano per entrare in seminario»), gli anni difficili al Sud, gli occhi di Madre Teresa («dove c’era la felicità di Dio»).
Il tutto per dire che «neanche i miei superiori hanno disposto della mia vita: ha fatto tutto Dio». E allora «riscopriamoci figli di Dio; rinunciamo al demonio, alla droga, al denaro, agli idoli». Poi chiude; «vi vedo troppo stanchi», ma ha tempo per ammonire ancora: «Viviamola bene questa vita, con un sorriso; basterebbe niente, appena un po’ di speranza».
Noi però vogliamo fargli qualche altra domanda…:
Tanti hanno osservato il digiuno richiesto dal Papa...
Io credo nel digiuno; ma intendo non tanto il togliersi un pezzo di pane, quanto il togliere quelle cose che dispiacciono a Dio.
Basterà una preghiera a fermare la guerra?
Quando noi preghiamo per una cosa dobbiamo questa cosa attuarla, conoscerla e farla. Io chiedo che la pace sia perdono: io sono uomo di perdono e posso avere diritto di chiederlo. Ma come fa Dio a dare la pace ad un uomo che non è in pace? E’ Dio che non vuole la pace o l’uomo che chiude la porta?
Cosa ne pensa allora della situazione attuale?
Viene a galla il mondo: noi uomini valiamo poco o nulla. Si ha sempre l’impressione che, in fondo, per potere avere vinta una guerra quello che pensano gli uomini non serve. Comunque, è vero che se i governanti ascoltassero la gente, dovrebbero cancellare la parola “guerra”.
Crede i Paesi più forti dell’Occidente possano rivendicare il diritto di decidere per tutti? Non crede che dovremmo prima guardarci negli occhi?
Infatti: dobbiamo noi per primi pregare Dio. Ci sono tante cose che noi dobbiamo rimettere a posto: la giustizia, l’amore, la carità, un capitalismo solidale; bisogna convertirsi.
Lei ha vissuto situazioni di disagio; come si risolvono?
Prima di tutto bisogna educare le persone e le comunità. Io non posso odiare il camorrista, ma odio il reato: bisogna avere la forza di denunciare il reato e di farne capire la gravità a chi lo commette. Dovunque bisogna togliere ciò che impedisce la libertà; io ho visto troppa ignoranza.
Ritorno al punto: che può fare la Chiesa?
La Chiesa fa prevenzione, lo Stato fa repressione. Carabinieri e polizia ci devono essere, però il frutto lo ottiene sempre la prevenzione. La Chiesa, intendendo anche i laici, in questo periodo sembra un po’ chiusa all’interno; ma dappertutto c’è lo sforzo di aprirsi al mondo, buttare giù le pareti. Giovanni XXIII diceva: «La fontana non è nella chiesa, ma è nella piazza». Bisogna avere il coraggio di andare in piazza; se io voglio trovare un matto o un tossicodipendente devo andare in piazza, gli uomini si trovano in piazza.
Lei ha detto questa sera che questo secolo non le piace, che vorrebbe far tornare indietro l’orologio della storia: basterebbe essere più poveri?
Dio non condanna il diritto alla proprietà; uno può essere ricco. Il problema è che la ricchezza non diventi idolatria. Io posso avere miliardi e dentro sentirmi libero. Quello che mi turba è che oggi si fa fatica a spegnere la televisione cinque minuti e a prendere in mano un breviario. Bisogna togliere gli idoli e trovare la libertà interiore: libertà dai soldi, dall’egoismo… L’amore vuole la libertà, è la base anche della vita di coppia.
E rispetto per le altre religioni…
Ecumenismo: ritorniamo alla preghiera del Papa ad Assisi. Tutti a pregare, ognuno nella sua forma: il principio è la libertà. Il principio deve essere: «insieme preghiamo», non «preghiamo insieme».
Ci sono ancora motivi per sperare?
Guardando intorno, ne vedo molti: per esempio il volontariato. Vuol dire che milioni di giovani capiscono che con le mani in tasca non si fa nulla. Allora diventano coraggiosi perché capiscono che fare del bene, impegnarsi, darsi da fare, stare insieme è sempre un motivo di vita.
Giovanni Montanaro