Erano le ore 7.00, del 30 luglio 1942. Aveva 76 anni di età: da 57 era religioso e da 52 sacerdote. La giornata era incominciata come ormai, da quando era ammalato, cominciavano tutte le sue giornate. Si era alzato verso le 5.30 e si era preparato spiritualmente alla celebrazione della Santa Messa.
Alle 6.30 era in sacrestia presso la cappella dell’infermeria dove incominciò ad appararsi indossando l’amitto e il camice. Improvvisamente era svenuto e si era accasciato sul pavimento. Il piccolo tonfo aveva fatto accorrere l’infermiere che gli aveva tolto di dosso l’amitto e il camice.
Dopo un quarto d’ora padre Leopoldo riprese conoscenza. Aveva spalancato gli occhi e aveva chiesto, sorridendo, all’infermiere: «Mi lascia celebrare la Messa?». Aveva perso nuovamente conoscenza.
I frati si erano accorti che padre Leopoldo stava morendo e avevano provveduto all’amministrazione dell’unzione degli infermi. Mentre iniziava il rito sacramentale, P. Leopoldo si era ripreso e aveva ricevuto il sacramento con gioia, sorridendo. Alle preghiere del rito il padre superiore aveva aggiunto l’Ave Maria e la Salve Regina.
L’infermiere ricorda: «Appena ebbe detto: “O clemente, o pia, o dolce vergine Maria” si sollevò e tendendo le mani verso l’alto, quasi andasse incontro a qualcosa, spirò».
Il cancro all’esofago lo aveva consumato, ma lo avevano consumato anche le fatiche apostoliche.
Il 1° agosto padre Leopoldo ebbe i funerali. Il celebrante, mons. Giacomo Gianesini, disse: «Egli non ha coperto posti eminenti nel suo Ordine, ma ha avuto e ha un posto di preminenza in mille e mille cuori di figli spirituali che ne piangono la dipartita; non ha lasciato opere e volumi al servizio dei dotti, ma ha scritto a caratteri indelebili, in numerose anime assetate di luce e di giustizia, sentenze e ricordi che non saranno mai dimenticati; non ha commosso le folle con la facilità dell’eloquenza dei grandi oratori, ma ha detto a migliaia di anime, con la semplicità evangelica, parole di bontà, di risurrezione, di perdono; non è stato fondatore di opere benefiche, ma come il buon samaritano del Vangelo ha gettato a piene mani, nei cuori affetti da sofferenze fisiche e morali, l’olio e il vino della cristiana carità e ne ha lenito le sofferenze; ha fatto rifulgere, in tante menti ottenebrate dall’errore e dal dubbio, il sole della verità; non aveva il fascino di doti esteriori, ma aveva quello della bontà, della virtù, della santità».
Sono passati 75 anni dalla morte di S. Leopoldo. «La grande storia di ieri e di oggi – commentano i frati del santuario di San Leopoldo a Padova – non sembra accorgersene. È ormai passata la generazione che lo conobbe. Ma a 75 anni dalla sua morte sembra che nulla sia davvero cambiato attorno a lui che continua, come sempre, povero, discreto, modesto, semplice, dolce e forte, a dire parole segrete di perdono e di speranza, a chiedere gesti di pentimento e di riconciliazione, a proporre e a lasciar passare Cristo e a indicarlo come l’unico che sa davvero essere il “medico e la medicina”, il Cuore divino, la misericordia. Questi 75 anni ci hanno fatto toccare con mano quanto e come egli sia presente in mezzo a noi con il suo esempio e con la sua intercessione».