Aiutare a ritrovare la retta via a ragazzi con pendenze penali e devianze giovanili, spesso seguiti dalle assistenti sociali, con un cammino di duemila chilometri per una durata di cento giorni, in assenza di cellulare e social network. Questa è la missione dell’associazione Lunghi Cammini nata a fine 2016 a Mestre.
«Noi ci siamo costituiti nel 2016 e siamo 15 membri – spiega Isabella Zuliani – per proporre la pratica del lungo cammino educativo in Italia. Siamo un’associazione di volontariato riconosciuta e ci occupiamo di una pratica che ha una lunga storia in Europa, ventennale quella francese e quasi quarantennale quella belga, con relazioni importanti delle istituzioni di quei Paesi. Avevamo conosciuto queste pratiche e ci era sembrato interessante vedere se era possibile portare qualcosa di simile in Italia. Prima della costituzione abbiamo verificato che non c’era niente del genere nella Penisola. Non che non si facciano cammini educativi in Italia, come gli scout che da sempre utilizzano questa modalità educativa. Ma i nostri destinatari sono ragazzi con meno opportunità educative, con situazioni esistenziali difficili o addirittura che hanno compiuto dei reati e che si trovano in un percorso penale. Questi in genere non solo non hanno fatto scoutismo ma sono usciti dall’educazione formale, abbandonando molto presto la scuola; e hanno vissuti di fallimento, con famiglie fragili e che vivono ai margini e che spesso vengono denunciati per reati».
Sinora l’associazione ha gestito quattro cammini e si relaziona con dei consulenti che vengono remunerati. Il modello proposto è di cammino uno a uno, cioè ognuno dei ragazzi fa un’esperienza individuale con un accompagnatore, che condivide con lui tutta l’esperienza che è molto lunga perché arriva anche a cento giorni di cammino percorrendo 2mila chilometri.
Ci sono anche esperienze più brevi di un mese e l’associazione si accinge a replicare l’esperienza più breve, comunque impegnativa.
«L’utenza è difficile e per noi il successo nell’esperienza è il fatto che i ragazzi arrivino a completare il cammino perché purtroppo nella loro vita, spesso, non hanno portato a compimento niente», afferma la Zuliani. «Si tratta quindi di dimostrare a se stessi di essere capaci di prendersi un impegno e portarlo a termine: questo è importante. L’esperienza viene loro narrata e per poter partecipare devono rispondere per iscritto con poche righe mostrando che vogliono fare questa cosa».
Essere però capaci di arrivare fino in fondo a un cammino anche solo di 600 km è una bella prova: «Tanto più che devono fare questa esperienza con un perfetto sconosciuto, perché l’accompagnatore non è un loro amico, ma è un adulto. E spesso questi ragazzi hanno cattivi rapporti col mondo adulto, a partire dai loro genitori; e tanto più gli estranei che spesso sono operatori tipo assistenti sociali, educatori, psicologi: ricordiamoci che sono ragazzi seguiti dagli assistenti sociali nelle migliori delle ipotesi, quando non sono in comunità e via dicendo. Quindi essere capaci di arrivare fino in fondo è un grande successo non solo verso l’esterno ma verso se stessi. Così possono capire di poter avere successo, che sono capaci di mantenere fede a un impegno e si rendono conto di aver portato a compimento un’impresa, che non è eroica, ma che fanno in pochi. E come hanno fatto quella cosa, potranno farne altre. Significa mettere un seme di fiducia in questi ragazzi cui bisogna dare il tempo di mettere radici: si tratta infatti di minorenni che provengono da situazioni marginali, che ritrovano quando tornano a casa. Ma sono esperienze potenti, che non possono essere dimenticate».
Pur essendo fatte in grande sobrietà queste esperienze hanno dei costi (ed ecco perché sinora ne sono state fatte solo quattro): 100 giorni o anche solo un mese in giro mangiando e dormendo tutti i giorni ha dei costi non da poco.
E l’accompagnatore, che si candida volontariamente, è comunque remunerato da un contratto e dev’essere remunerato per dare sicurezza alla relazione, perché l’accompagnatore deve sentirsi vincolato a un impegno lavorativo. Sono persone accuratamente selezionate. In quattro cammini ci sono state quattro selezioni di accompagnatori e a ognuna di esse hanno partecipato da 10 a 15 persone con un dispiego ampio di energie per individuare le persone più adeguate.
Le prime quattro esperienze è stato possibile realizzarle grazie al finanziamento di un privato. «Adesso per il 2021 avremo la possibilità di fare altre 6 esperienze, quattro di un mese e due da 100 giorni perché nel 2020 abbiamo partecipato a bandi pubblici e li abbiamo vinti. Però la c’è la pandemia, che non è finita. Per cui siamo purtroppo fermi. Se non ci si può muovere e non si può passare da una regione all’altra non possiamo attivarci perché non facciamo camminare questi ragazzi in circolo, ma facciamo loro raggiungere una meta lontana 600 chilometri: un tragitto tipo Padova-Roma, per cui si attraversano 5 regioni. Siccome abbiamo vinto i bandi e il progetto deve realizzarsi in Italia per vincoli del bando, probabilmente otterremo delle proroghe per poter realizzare quanto era nel bando e che evidentemente non possiamo fare finché non c’è la libertà di movimento».
Proprio in questi giorni l’associazione sta scrivendo un progetto per poter partecipare a un bando nel 2022 del Dipartimento per le Politiche della Famiglia.
Marco Monaco