Alla Casa circondariale di Santa Maria Maggiore le problematiche sono molteplici e abbracciano i campi più disparati. In primo luogo quello del sovraffollamento, a fronte di una carenza di agenti di polizia penitenziaria che si fa sentire. Qui, lunedì 18 alle ore 10, il Patriarca di Venezia mons. Francesco Moraglia celebrerà la Santa Messa, per poi scambiare gli auguri di Natale con i detenuti.
A Santa Maria Maggiore il quadro attuale è complicato, profondamente segnato anche da tre suicidi nel solo mese di luglio e dal salvataggio in extremis di un detenuto che solo pochi giorni fa ha tentato di togliersi la vita. I numeri fanno il resto. «In questo periodo, al maschile, vi sono tra i 210 e i 220 ristretti, quando la capienza regolamentare dovrebbe essere attorno ai 170», spiega l’avvocato Marco Foffano, garante per i detenuti. «Nella Casa di reclusione femminile della Giudecca, dove al momento l’Icam non ha minori all’interno, i numeri sono migliori da questo punto di vista, anche se non mancano problemi in termini di sottorganico: -40 agenti nel primo caso, -30 nel secondo, per un corpo di polizia penitenziaria che nel nostro Paese arriva complessivamente a circa 38mila unità. E ancora, 17mila sono i volontari italiani, 60mila i detenuti e 800 gli educatori (5 a Santa Maria Maggiore), ossia coloro che fanno parte del personale dell’area socio-giuridica. Con queste proporzioni – chiede il Garante – come può essere applicato il principio costituzionale garantito dall’art. 27, che prevede che la pena debba tendere alla rieducazione del detenuto? Nella sostanza lo Stato demanda l’aspetto trattamentale alle associazioni».
«Carcere, ospedale per i poveri». Poi il tema dei reparti in cui reclusi rimangono chiusi 24 ore su 24, se non per recarsi ai colloqui. «Ci sono celle in cui ho visto occupata anche la terza branda e questo è inammissibile». A tutto questo si aggiunge il carattere personale dei ristretti. «Gestire un 80% di persone extra comunitarie, con un’impostazione di vita e una cultura diversa dalla nostra o quantomeno da quella europea, non è facile», sottolinea Foffano, precisando come al di là di determinate storie, spesso disperate e con passati complicati alle spalle, vada considerato anche il problema della droga, «che devasta. Gli istituti di pena? Ormai sono diventati degli ospedali per poveri, sia a livello di situazione economica che di “spirito”». Non va poi trascurata la questione del reinserimento sociale, strettamente connesso al tema del lavoro, «che però manca». Se da un lato quello garantito dall’amministrazione penitenziaria all’interno del carcere «consiste in attività poco qualificanti, che consentono solo di mettere da parte qualche spicciolo, dall’altro c’è quello condotto dai ristretti in misura attenuata, dunque da coloro che possono uscire momentaneamente». E la difficoltà che tende a crearsi in quest’ultimo caso è semplice: una persona straniera, priva di permesso di soggiorno, nella fase della reclusione è considerata un soggetto regolare. Ma nel momento in cui esce definitivamente dall’istituto penitenziario, perde di colpo il titolo che gli era stato concesso nel corso della detenzione, con conseguenti criticità nella gestione del rapporto di lavoro da parte del datore.
Disagio mentale diffuso. Anche le problematiche di tipo psichiatrico rappresentano un’ulteriore urgenza; basti pensare che oltre il 50% dei soggetti reclusi sono affetti da disagio mentale. «Questo non significa che tutti abbiano patologie tali da escludere una capacità di intendere e di volere – evidenzia Foffano – ma che l’ambiente in cui si trovano incide sull’equilibrio della persona. Pochi gli psichiatri e anche la sanità penitenziaria più in generale andrebbe potenziata. I tempi per una visita o per un esame tendono ad allungarsi, generando tensioni interne». Infine un accenno alla Riforma Cartabia, che insiste su un particolare punto: quello della giustizia riparativa. «A riguardo – conclude Foffano – siamo agli esordi. La legge istitutiva c’è, ma non basta. Vanno creati dei Centri territoriali appositi. La giustizia riparativa consiste in un cambio di matrice culturale, attraverso la quale si cerca di ristabilire la relazione rotta fra autore del reato e vittima. Un percorso faticoso, che necessita di mediatori qualificati».
Marta Gasparon