«Lo smart working, che stiamo sperimentando già da mesi, durante questa pandemia porterà, alla lunga anche in Italia , ad un cambio nella valutazione degli spazi di lavoro. La qualità degli ambienti si misurerà anche in termini di accessibilità, visibilità, sostenibilità e benessere dei dipendenti. Questo favorirà processi di rigenerazione urbana, perché incrementerà la concentrazione della domanda nei quartieri più qualificati. Si tratta di un fenomeno che avevamo già osservato prima della pandemia e che post-Covid subirà un’accelerazione». A dirlo è Manfredi Catella, ceo di Coima Srg (società di investimento immobiliare) che ha appena confezionato uno studio sul rapporto tra spazi urbani e smart working. Coima Sgr è tra l’altro il gestore del fondo immobiliare che detiene la proprietà dei due grandi alberghi del Lido di Venezia, hotel Excelsior e Des Bains (quest’ultimo chiuso dal 2009). Dallo studio realizzato emerge come il lavoro in ufficio diventerà sempre meno predominante.
Come cambierà, dunque, il nostro modo di lavorare?
Dallo studio realizzato da Coima, basandosi su dati ricavati da Eurostat e Politecnico di Milano (Osservatorio Smart Working), il tutto poi convalidato da un’indagine effettuata direttamente con 38 società operanti in Italia di varie dimensioni e in settori diversi, è emerso che il posto di lavoro probabilmente diventerà sempre più un luogo per lo scambio di idee e meno per la pura produzione e il lavoro individuale. Ci si recherà in ufficio in media per metà settimana, per incontrarsi con profitto tra colleghi, mentre ai lavori che si possono eseguire da soli, di routine, ci si dedicherà probabilmente da casa.
Qual è la percentuale di riduzione degli uffici prevista nei prossimi 2-3 anni?
Coima ha stimato che una ipotetica azienda che non utilizzava il lavoro remoto pre-Covid nel prossimo futuro potrebbe ridurre il proprio fabbisogno di spazi per uffici del 5-10% nel caso di un’adozione bassa o media del lavoro remoto, percentuale che potrebbe attestarsi tra il 10-30% nel caso di un’elevata adozione del lavoro remoto (posto che i dipendenti condividano le postazioni). Tali numeri sono complessivamente confermati dall’indagine svolta con le 38 aziende sopra menzionate, che hanno una intenzione di principio di ridurre i propri spazi a uso ufficio in media del 10% nel medio-lungo periodo.
Quali sono le opportunità e i limiti di questo nuovo modello?
All’aumentare della percentuale di applicazione dello smart working corrisponderà una diminuzione della necessità di spazio fisico. Una diminuzione quantitativa che sarà tuttavia compensata dalla richiesta di una maggiore qualità degli spazi, sia internamente ai luoghi di lavoro, sia esternamente nel quartiere in cui saranno ubicati gli uffici. Infatti, vi sarà una diversa modulazione tra le aree comuni e gli spazi allocati agli uffici individuali, con uno sbilanciamento verso le prime che cresceranno fino al 50-60% rispetto all’attuale 40% per favorire incontri, riunioni, esperienze e attività di relax.
L’Italia a che punto è, in questo percorso, rispetto ai principali Paesi europei?
Se si guardano i dati dell’Eurostat, l’attuale penetrazione del lavoro da remoto in Italia è molto bassa (pari al 5%), rispetto ad una media europea del 17% (con alcuni Paesi del Nord Europa che superano il 40%). In realtà, se si guardano i dati del Politecnico di Milano (Osservatorio sullo Smart Working) si vede come le imprese di grandi dimensioni abbiano già un’adozione del lavoro remoto maggiore del 60%; le realtà che invece sono più indietro sono le piccole e medie imprese (adozione pari a circa il 30%) e la pubblica amministrazione (adozione pari a circa il 23%).
In che misura questo nuovo modello di smart working e conseguente riduzione degli uffici è applicabile a Venezia?
Ci aspettiamo che in linea di principio le tendenze generali rappresentate si manifesteranno in modo diffuso. Naturalmente la modulazione dipenderà dai settori, dalle aziende, dai livelli e funzioni dei professionisti ed anche dalla geografia.
Lorenzo Mayer