Sono numerose le aziende veneziane che si stanno rendendo disponibili per garantire lavoro ai detenuti in misura alternativa. «E sono più le offerte di lavoro all’esterno, rispetto ai ristretti pronti ad uscire», ha commentato mercoledì il direttore della Casa circondariale di Santa Maria Maggiore, Enrico Farina, in occasione del momento di preghiera organizzato mercoledì mattina (nella foto) all’interno del carcere veneziano insieme ad una rappresentanza di cappellani delle strutture detentive e penitenziarie del Triveneto, una ventina.
Un appuntamento che ha portato ad accogliere la lampada, accesa a Roma per il Giubileo, in cui arde la “luce di speranza” e attraverso la quale sono state accese anche le altre, che verranno portate nei vari istituti di pena. Farina ha sottolineato come l’inserimento lavorativo preveda che il detenuto svolga un proprio percorso prima che gli sia accordata questa opportunità. «Così come la luce santa accesa oggi a Santa Maria Maggiore verrà portata come segno di speranza in tutte le carceri del Triveneto, anche l’impegno quotidiano di volontari, educatori e polizia penitenziaria continua ad ampliare le opportunità di reinserimento per i detenuti ristretti a Santa Maria Maggiore, ma anche di tutto il Triveneto», ha sottolineato il direttore di Santa Maria Maggiore. «La crescente richiesta di figure specializzate nei settori dell’edilizia, della nautica, della ristorazione, dell’archivistica digitale e dei servizi offre prospettive non solo per questa casa circondariale, ma per tutto il Triveneto. È un segnale concreto di come il mondo del lavoro sia sempre più aperto a percorsi di inclusione, valorizzando competenze e professionalità che possono diventare un ponte verso una nuova vita». Non è un percorso sempre facile: «Con alcuni non riusciamo a trasmettere il messaggio che se ci mettono del loro, noi possiamo fare il resto. Stiamo cercando di farglielo capire». Da qui la proposta del direttore – alla luce delle molteplici offerte – a far sì che proprio Venezia possa rappresentare una sorta di «punto di snodo» per il trattamento dei detenuti presenti negli istituti del Triveneto, affinché nella città d’acqua trovino un’opportunità lavorativa. «Qui cerchiamo di far capire che le opportunità ci sono, ma bisogna saperle cogliere. E se non arrivano subito, è perché fa tutto parte di un percorso che i detenuti devono prima affrontare».
Accanto al lavoro c’è il tema degli alloggi, a cui la Diocesi di Venezia sta lavorando in sinergia con Caritas. L’obiettivo è quello di recuperare spazi abitativi per chi esce dal carcere. E in tal senso ha citato Casa Papa Giovanni XXIII, a Venezia, e le Muneghette. «A Mestre stiamo cercando appartamenti in cui Caritas faccia da garante per l’affitto, mentre a Campalto si sta lavorando alla ristrutturazione di Casa mons. Vianello, della Diocesi». Un progetto abitativo che potrebbe concretizzarsi entro il 2025.
Marta Gasparon