Sarà una meditazione originale nella forma e nella sostanza, quella proposta ai partecipanti della Festa del Creato, domenica 23, dalla teologa Cristina Simonelli sul tema “Rinascere dall’Acqua e dalla Terra”.
Nella forma, perché la conversazione sarà impostata come una passeggiata lungo gli argini della laguna, accompagnata da musica dal vivo e intervallata dalle riflessioni della teologa.
Nella sostanza perché i contenuti toccheranno sì le alte vette della teologia, ma per essere declinati alla realtà della vita delle persone, alle problematiche concrete, a partire dalle tematiche ambientali, ma non solo da quelle. «Come ho avuto modo di scrivere nella mia prefazione alla Laudato Si’ di Papa Francesco, il grido della terra è il grido dei poveri. Il disastro ambientale e il rifiuto verso le persone sono strettamente connessi, sono ancor più che due facce della stessa medaglia», spiega la teologa anticipando a GV alcuni spunti della sua meditazione.
Mezza vita in un campo rom. «Provengo dalle periferie», è la sua premessa. Cristina Simonelli, 62 anni, docente di teologia patristica, presidente del Coordinamento delle teologhe italiane, ha infatti vissuto in roulotte, all’interno di un accampamento rom prima in Toscana e poi a Verona, dal 1976 al 2012. «Non sono stata l’unica: come me altri laici, ma anche sacerdoti e religiosi, dalle provenienze e sensibilità più diversi. Erano anni in cui si viveva ancora l’onda lunga del Concilio. Si parlava allora di “condivisione”. Volevamo verificare se il Vangelo potesse davvero “tenere”, se potesse “resistere” al confronto con la realtà».
Il risultato è che sì, «il Vangelo ha tenuto». Oggi la teologa non vive più in un accampamento rom, ma ha mantenuto la sensibilità e il punto di vista periferici. Ed è con questa “lente” che la riflessione ad Altino toccherà diversi spunti, non solo quelli prettamente ambientali. Con un invito alla conversione, a cominciare dalla stessa teologia: «La teologia può convertirsi ascoltando il grido della terra e il grido degli ultimi», afferma sottolineando come la conversione implichi una sorta di “traduzione” del linguaggio: «Dobbiamo scendere dal gergo teologico ad un linguaggio che parli davvero alle persone. La teologia deve immergersi, come nel Battesimo, per riemergere con il linguaggio della vita», aggiunge la teologa riprendendo l’immagine dell’acqua che farà da filo conduttore della camminata lungo gli argini della laguna.
«L’acqua del battesimo, per prima cosa, inteso come rinascita. Dicevo della teologia, appunto, da “battezzare” alla vita. E poi uno sguardo sulla laguna, acqua che in passato si è aperta ad altri mondi e ad altre culture. Come non pensare invece alla chiusura oggi crescente verso l’altro? Come non pensare all’acqua del Mediterraneo e alle persone che vi annegano?», chiede in modo non retorico la teologa.
«Facciamo sentire la nostra voce». Di fronte a questo atteggiamento sempre più chiuso, fino a sfociare nel razzismo e nella xenofobia giungono due indicazioni: «Per prima cosa non lasciamo correre. Di fronte a piccoli episodi di intolleranza, non voltiamoci dall’altra parte. Facciamo sentire la nostra voce. Non abbiamo paura di uscire allo scoperto, prendiamo posizione anche pubblicamente, come stanno facendo i vescovi. E poi facciamo appello alle esperienze positive che esistono e vanno valorizzate. Sono toscana, ma vivo in Veneto da tanto tempo e posso dire che questa è una terra di grande tradizione spirituale, di apertura, di solidarietà, che non può essere cancellata da discorsi di corto respiro. Non vale la pena fare leva su contrapposizioni ideologiche, ma è preferibile rimanere su terreni concreti, su esperienze da condividere anche con chi la pensa diversamente, perché solo così può emergere la parte migliore di ciascuno». (S.S.L.)