Insegnare la scrutatio ai detenuti, un momento di osservazione della Parola intimo e solitario, questo è il desiderio di Alvise Graziani, animatore da circa tre anni del gruppo di ascolto presente nel carcere maschile di Santa Maria Maggiore a Venezia. «All’interno del carcere, nonostante l’ostilità dell’ambiente, abbiamo creato una piccola comunità cristiana» dice Alvise, raccontando le dinamiche che si sono create all’interno della casa circondariale. Un’esperienza, quella dei gruppi di ascolto, che continua fin dal 1999 e che oggi è resa ancor più ricca da due gda, quello tenuto da Alvise, appunto, e quello tenuto dall’animatore Marco Foffano. Fondamentale è anche la catechesi tenuta da don Antonio Biancotto, cappellano del carcere, improntata sulla parte morale, volta a portare ad una revisione della vita e ad indirizzare sulle scelte future. E adesso, per i detenuti è arrivato il momento di poter approfondire la loro fede anche da soli per far propri gli insegnamenti di Dio.
Per fare questo però servono le Bibbie di Gerusalemme di nuova traduzione con le note: chiunque ne disponga e volesse donarle ai detenuti è quindi invitato a portarle presso la Casa Caburlotto in fondamenta Rizzi, vicino le carceri. Importante è che la copertina delle Bibbie sia flessibile in quanto quelle rigide non sono ammesse all’interno del carcere per motivi di sicurezza.
«Nessuno è pronto». «Questa esperienza non l’ho cercata, è successa» racconta l’animatore, spiegando che dopo alcuni anni di volontariato don Antonio gli chiese di portare avanti l’esperienza dei gruppi di ascolto. «Io gli dissi subito che non pensavo di esserne in grado ma lui mi rispose: “ma chi è pronto?”» spiega Alvise, raccontando che ciò che lo ha spinto ad accettare è l’esperienza di misericordia. Il gruppo di ascolto si incontra ogni giovedì per circa due ore e una decina sono i carcerati che vi partecipano. La prima parte dell’incontro inizia lasciando spazio al dialogo per dare l’opportunità ai presenti di condividere le proprie novità e quanto è accaduto loro durante la settimana. Più tardi si prosegue con una preghiera e poi vengono lette le due letture e il Vangelo della domenica successiva, così che le persone possano arrivare preparate alla messa che in carcere è spesso distratta. «Cerchiamo di “spezzare” la Parola focalizzandoci poi sul dialogo, dove vengono esposti dubbi e perplessità. Il Vangelo, infatti, è massima guida anche se a volte può sembrare scomodo» dice Alvise, spiegando che nel gruppo cerca di portare sempre la sua piccola esperienza di fede.
I detenuti si interrogano. A volte capita che i reclusi inizialmente prendano parte al gruppo per motivi lontani dalla fede ma poi Dio li lascia sbalorditi: «All’interno del carcere capisci che non è compito tuo giudicare, ci sono storie molto pesanti, croci grosse. Il carcere è un ambiente duro e il gruppo di ascolto è una bella boccata d’ossigeno. Lì riusciamo a valorizzare il pensiero, le persone ritornano volentieri e cominciano ad interrogarsi sulla fede». Negli incontri Alvise spiega le basi del catechismo come i dieci comandamenti, ma vengono affrontati anche temi quali l’idolatria, la Trinità, la giustizia e la verità. Quando il Vangelo parla di ultimi, molti di loro si sentono partecipi e si identificano. «I detenuti sono concentrati sulle loro condanne ma il cristianesimo insegna il perdono. Dio è misericordioso e tutti siamo in qualche modo peccatori» continua Alvise, spiegando che il gruppo di ascolto aiuta i reclusi a perdonarsi e a perdonare il prossimo.
Piccoli miracoli dietro le sbarre. La Parola inoltre ha la forza di entrare nel cuore delle persone senza lasciarle indifferenti: «C’è un passaggio di Dio reale, percepibile. Sono stato testimone di reclusi che si sono commossi ed hanno pianto» dice l’animatore, spiegando che all’interno del carcere ha visto sciogliere molti nodi che le persone avevano nel cuore. Per di più ha potuto assistere a piccoli miracoli: «Ci sono stati miracoli spirituali ma anche a livello pragmatico, molti sono coloro a cui si è addolcito il cuore. Nella vita di alcuni carcerati sono giunte belle notizie, come chi si è riappacificato o riavvicinato in famiglia. Altri invece hanno iniziato a riconsiderare vecchi rancori» racconta Alvise. Poi spiega che il cristiano all’interno del carcere è come un virus benefico: «I detenuti iniziano a pregare e fare gesti d’amore – continua, affermando infine che nei reclusi è percepibile anche una trasformazione nel volto -. Chi inizialmente arriva depresso e in ansia poi comincia a sperare e si sente accolto. All’interno del carcere ci vogliamo tutti bene e ogni giovedì ci aspettiamo. Ogni incontro inoltre termina con il segno della pace per sottolineare la fratellanza reciproca. Questa esperienza mi fa crescere nella fede» conclude Alvise, sperando che l’esercizio della scrutatio porti i carcerati a maturare la loro fede. Infine invita tutti a pregare per i detenuti, soprattutto per quelli che non conoscono Dio.
Francesca Catalano